L’ultimo scandalo politico che ha investito la regione Lazio ha mostrato dove può finire una concezione della politica ridotta a malaffare.
Il Cardinale Bagnasco in merito al “reticolo di corruttele e di scandali” emerso nelle Regioni ha detto: “gli sprechi di cui si sente parlare in questi giorni sono una cosa vergognosa” e in seguito, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei, ha aggiunto «Che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare. Ed è motivo di disagio e di rabbia per gli onesti». E il Presidente Napolitano all’inaugurazione dell’anno scolastico ha colto l’occasione per stigmatizzare gli ultimi scandali politici: «Troppi vergognosi fenomeni di corruzione». Il capo dello Stato ha spiegato che il momento è grave: «Anche di recente la cronaca ci ha rivelato come nel disprezzo della legalità si moltiplichino malversazioni e fenomeni di corruzione inimmaginabili e vergognosi. Non è accettabile per i cittadini onesti, né per chi voglia avviare un’impresa”.
La politica è malata. Da mani pulite in poi il processo degenerativo del tessuto morale, culturale, sociale, politico e civico del nostro Paese si è andato sfilacciando ed aggravando sempre di più, assumendo le forme di una vera e propria crisi del “sistema – Italia”.
Monta l’insofferenza dei cittadini che parlano ormai dei propri rappresentanti come di una “casta” vorace. Non si fanno più distinzioni: “destra e sinistra non ci sono più, sono tutti uguali, tutti ladri”. Ma non è vero che tutti sono uguali e che tutti sono ladri perché all’interno di questo marciume ci sono movimenti e partiti che pur tra errori e ritardi hanno operato ed operano onestamente per l’interesse comune. C’è da dire ad onor del vero però che le responsabilità investono sia la maggioranza di centro-destra che quella di centro-sinistra, ma a livelli diversi. Ci sono politici che hanno rubato e politici che non hanno rubato, ma avrebbero dovuto dall’opposizione denunciare con forza e a gran voce lo sperpero dei soldi pubblici e il malaffare, dissociandosi e non l’hanno fatto.
Il berlusconismo, con il suo monopolio multimediale, divenuto con il tempo uno strumento di omologazione generale ed una complessa macchina di consenso di massa, ha potuto governare, indisturbato al centro e in periferia in questi anni anche grazie alla debolezza agli errori e alle divisioni della sinistra.
Questa fase politica ha contribuito, più di altre, a demolire le Istituzioni repubblicane, costruendo un rapporto politico malsano di tipo clientelare tra eletti ed elettori, deteriorando moralmente ed economicamente la nostra società. La scarsa conoscenza da parte degli italiani dell’etica pubblica – come ha detto al radio-giornale Rai, il filosofo Marramao – ha facilitato il successo di questa politica disonesta, risultando un ostacolo serio allo sviluppo di una coscienza politica morale critica e consapevole nel nostro Paese. Indubbiamente tutto ciò è vero, ma una parte di responsabilità non indifferente ce l’ hanno anche quegli italiani che oggi, additando al disprezzo pubblico come “ladri”i propri rappresentanti, dimenticano che ieri sono stati loro a votarli.
Quindi di che lamentarsi? Aristotele, Hegel, De Maistre, conoscendo bene gli uomini non a caso hanno potuto tranquillamente affermare che “ogni popolo ha il governo che si merita”.
Che fare allora? Da più parti si invoca per l’ennesima volta una riforma della politica divenuta ormai improcrastinabile. Accanto ad una nuova classe dirigente è necessario ed urgente però un rigoroso risanamento morale e civile, in grado di ripristinare e rafforzare un insieme di valori pubblici. Bisogna costruire disposizioni d’animo orientate al bene comune, come quelle messe in atto nel nostro Paese dai padri costituenti all’indomani della fine della Seconda guerra Mondiale.
Occorre riprendere – dice Nadia Urbinati, su la Repubblica del 24 settembre, quella questione morale, di berlingueriana memoria, che venne liquidata sprezzantemente come una questione meramente “moralistica”, perché : “Una democrazia non può fare a meno della morale, la quale è basilare e indispensabile consapevolezza della differenza tra il giusto e lo sbagliato, un giudizio che deve operare quotidianamente nel pubblico e privato, e senza il quale la giustizia è la ragione del più forte”.
Ed è quello che si vuol fare in Francia con l’introduzione dell’insegnamento della morale laica a scuola. Il Ministro dell’Istruzione Vincent Peillon, di fronte all’evidente crisi di valori, ha avanzato la proposta dell’inserimento, a partire dal 2013, di un’ora di lezione obbligatoria di “morale laica” perché «se non è la Repubblica a dire quali sono i vizi e le virtù, il giusto e l’ingiusto, altri lo faranno al suo posto». Il piano segue l’impegno di F. Hollande di far approvare una legge sulla moralizzazione della vita politica.
Anche in Italia c’è un urgente bisogno di moralizzazione e di un’ educazione degli italiani alla cittadinanza attiva e consapevole. Un contributo alla rigenerazione morale non potrà che venire però da uno sforzo congiunto di tutte le agenzie formative del nostro Paese e in particolare da una scuola riformata, rinnovata e finanziata adeguatamente.
Perché i nostri giovani, salvo lodevoli eccezioni, non vengono educati adeguatamente dallo Stato, dalla Chiesa, dalle famiglie e dalla scuola ad agire civicamente, moralmente e responsabilmente né a sviluppare un pensiero critico autonomo. Perciò privi di capacità di valutazione e discernimento come sono i cittadini vengono facilmente influenzati dal primo demagogo politico o pubblicitario di turno. Cosa fare?
Innanzitutto occorre una scuola, per dirla con Gramsci, che sviluppi la capacità critica ed autocritica nei giovani in modo che essi siano in grado di controllare criticamente i loro professori ed essere critici con il potere, che come è noto preferisce sudditi ubbidienti e accondiscendenti.
La scuola deve sviluppare nei giovani la capacità di ragionare autonomamente sui problemi politici che riguardano il nostro Paese e il mondo, prepararli ad esaminare, riflettere, discutere e giungere a conclusioni senza delegare alla tradizione o all’autorità la soluzione dei problemi di comune interesse. Ma questo processo culturale e civico però non può essere appannaggio di una sola materia, per intenderci dell’insegnamento della sola morale laica, come pare si voglia fare in Francia, ma deve investire tutte le discipline insegnate proprio perché la scuola è “preposta e deputata istituzionalmente in toto alla formazione dell’uomo e del cittadino”.
Ma com’è noto nelle scuole italiane vi sono solo corsi di religione cattolica e non di morale laica e chi non intende seguire quest’insegnamento può esserne dispensato.
Benedetto Croce, ricordando che siamo un paese di tradizione cristiana e cattolica, ha intitolato un suo scritto “perché non possiamo non dirci “cristiani”, Eugenio Scalfari, in “Dibattito sul laicismo”, ha capovolto il noto titolo crociano in “perché non possiamo non dirci laici”, rivendicando pari dignità alla visione laica di tanti italiani, non credenti.
Penso che le due affermazioni quella di Croce e quella di Scalfari abbiano ognuno una parte di verità, che meritino rispetto e reclamino un’ attività educativa conseguente. Ma mentre l’insegnamento della religione per i credenti cattolici ha già un riconoscimento giuridico e una prassi scolastica consolidata, quello della morale laica, nelle nostre scuole, per quelli che non vogliono avvalersi dell’insegnamento religioso, non ha nulla di tutto questo, come invece avviene nelle Scuole Europee, sparse per l’Europa.
In queste scuole, accanto all’ insegnamento delle varie forme di insegnamento religioso (cattolica, protestante ecc.), viene impartito, per chi non vuole seguire i corsi di religione, un insegnamento di morale laica, con un regolare programma armonizzato. Per molti anni ho insegnato, tra le altre discipline, anche morale laica alla Scuola Europea di Varese, direi con profitto ed interesse da parte degli studenti e spesso anche con progetti comuni con gli insegnanti di religione.
Le “due fedi”, quella religiosa e quella laica, depurati dai loro assoluti, si confrontavano spesso dialetticamente, contribuendo a formare una coscienza critica europea tollerante, inclusiva e democratica.
Penso che per l’intanto, in attesa dell’introduzione anche in Italia di un auspicabile insegnamento di morale laica, parallelo a quello religioso, si possano assicurare delle ore di morale laica e civica a quegli studenti che, non seguendo le lezioni di religione, entrano un’ora dopo o escono in anticipo dalle lezioni o vagano per gli istituti in attesa che possano rientrare in classe, una volta finita l’ora di religione.
“Oggi” – dice Andrea Catizzone dell’ Osservatorio sulle famiglie Eurìspes – “ è necessario trovare un punto da cui partire per rimettere insieme le tessere di un mosaico sghembo e disarticolato del vivere sociale”. Quale principio essenziale dovrebbe essere messo a base di questa nuova disciplina? Penso che in questi corsi inizialmente integrativi e in quelli successivi regolari di morale laica dovrebbe essere messo al centro come cardine essenziale il Sapere aude ( “abbi il coraggio di conoscere!”), di oraziana memoria. Com’è noto questa espressione è diventata famosa grazie al filosofo tedesco Immanuel Kant, che ne ha fa il motto dell’Illuminismo e condensa in essa il messaggio di quel processo storico – filosofico .
Nel suo scritto del 1784, “Risposta alla domanda: “che cos’è l’Illuminismo?”, infatti, egli dà una definizione ormai celeberrima: “L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessa è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo”.
Tra i doveri essenziali dell’uomo Kant pone quello dell’orgoglio, della fierezza morale. Egli dice: “Non farti servo di nessuno”! E questo vuol dire: “Non subordinare la tua coscienza ai timori e alla speranza della vita inferiore: non avvilire la tua personalità piegandola servilmente dinnanzi ad altri uomini”! Soltanto chi sente in sé l’esigenza di questa dignità morale, di questa fierezza inflessibile, è un uomo nel vero senso della parola: il resto è gregge nato per servire. Questa esortazione kantiana e questo insegnamento di morale laica penso possano contribuire ad orientare nella vita quotidiana la prassi morale e civica dei nostri giovani.
Dice a tal proposito Sergio Romano, rispondendo sul Corriere ad una lettera di un lettore che chiedeva lumi sulla questione dell’insegnamento della morale laica in Francia: “L’insegnamento della morale laica dovrebbe concentrarsi soprattutto sullo stile e sulle regole della convivenza. Dovrebbe insegnare ai giovani come ci si debba comportare in pubblico, in un ristorante, in un treno, nel corso di uno spettacolo o di una competizione sportiva, durante una riunione di condominio, un dibattito o una conversazione. Dovrebbe spiegare come i giocatori debbano contestare la decisione di un arbitro, come lasciare una toilette dopo averla usata, come guidare un’automobile o cavalcare una motocicletta in città e sull’autostrada, come fare la coda davanti a uno sportello, e soprattutto come si fa a prendere la parola in un convegno. Alla base di ogni democrazia vi sono le regole che governano la discussione”.
Ritengo che dal contributo di un rinnovato insegnamento religioso, aperto a più fedi, affiancato dialetticamente a quello di una morale laica aperta e pluralista, possano scaturire le ragioni di una proficua collaborazione educativa, rigeneratrice di valori e di sani principi; ciò potrà contribuire a formare cittadini italiani ed europei autonomi culturalmente e responsabili moralmente del loro operato.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di una nuova generazione di cittadini che alzandosi in piedi abbiano la dignità di dire: “Noi siamo gli eredi di quei patrioti che, lottando per restituirci la libertà e la dignità calpestate dal nazi – fascismo, seppero anteporre gli interessi generali a quelli personali e particolari. Noi possiamo essere gli artefici del nostro destino. Il nostro Paese merita di meglio! Meritiamo una classe dirigente onesta, trasparente, capace e all’altezza dei tempi”.
Nell’immagine: Maigritte, Golconde, 1953
(“In quest’opera Magritte moltiplica a “stampo” il curioso personaggio presente in molte altre sue opere, caratterizzato dal vestito e dalla bombetta neri. Ci si può chiedere “che ruolo ho io? Sono forse uno dei tanti ometti omologati sospesi fra cielo e terra? La risposta crediamo sia sì”).
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