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Politica

VENT’ANNI DOPO, IL TEMPO RIMASTO FERMO

MANIGLIO BOTTI - 28/09/2012

Raimondo Fassa, primo sindaco leghista di Varese

Sul finire dell’autunno del 1992, il 13 dicembre, giorno di santa Lucia, la città di Varese voltò pagina, chiudendo, prima in Italia, il libro della sua prima Repubblica.

Si sgretolava il patto di ferro tra la DC e il PSI (ma anche il PCI non vi era escluso), si affacciava nella scena politica la Lega Lombarda, qui rappresentata da un giovane candidato (poi sindaco) di area (ex) democristiana e cattolica, Raimondo Fassa, allievo di Gianfranco Miglio, il rinnovato ideologo della Lega ma onusto di studi autonomistici e federalistici.

Per celebrare l’evento – Fassa si sarebbe insediato sul primo scranno di Palazzo Estense un mese dopo – arrivarono a Varese giornali ed emittenti tv di tutta Europa, e anche d’Oltreoceano.

Sono trascorsi vent’anni. Un tempo che in politica vale più o meno un’era geologica. Nel concreto si può rilevare che i ragazzi nati allora, nella stragrande maggioranza, si presentano oggi alla frequentazione del secondo anno di un qualsivoglia corso universitario. Per essi, quindi, non varrebbe parlare del periodo antecedente alla loro venuta al mondo, se non per dire che, vent’anni dopo, le cause e i problemi che avevano portato al “cambiamento epocale” tali sono rimasti, intonsi.

Nella città, a un’antica classe dirigente se n’è sostituita un’altra. Ma i temi che in quell’epoca preistorica assillavano i varesini non sono stati spazzati via dal vento del Nord. E anche il primo sindaco della “rivoluzione”, quel Raimondo Fassa, farebbe oggi la figura di un dinosauro aggirantesi in un ingorgo di automobili. Traffico, parcheggi, tutela del lago, rilancio del Sacro Monte, cura amministrativa e trasparenza erano argomenti importanti e insoluti nel dicembre del 1992 e lo sono ancora.

Se spostiamo di poco l’obiettivo dalla nostra città-laboratorio e lo volgiamo al panorama nazionale, il bilancio è sempre più inquietante, benché non si possa affermare che non ci siano state le “novità”. C’è stata, per esempio, la discesa in campo del cavalier Berlusconi, ai cui governi centrodestroleghisti si sono inframmezzati altrettanti sinistro-prodiano-ulivisti. Esisteranno pure colpe e responsabilità ben precise degli uni rispetto agli altri, ma il debito pubblico ha continuato a crescere nel Paese a dismisura, sempre. La corruzione, che aveva fatto da miccia e da detonatore per abbattere il (primo) sistema, impronta ancora di sé le prime pagine dei giornali, cartacei e online. La criminalità organizzata (mafie e C.) non è scomparsa. La disoccupazione giovanile ha raggiunto l’insopportabile livello di quasi il cinquanta per cento.

Le riforme sono sempre state annunciate, ma nella sostanza nulla è cambiato. Se è vero che, rispetto a vent’anni fa, possiamo andare a Parigi o a Berlino a fare la spesa con la stessa moneta, è anche vero che c’è chi briga per farne a meno e per tornare alla vecchia liretta.

Qualcosa – e forse ben di più – di diverso lo percepiamo nei visi degli uomini e delle donne che incontriamo nelle strade. In questo si può dire che sta crescendo una nuova Italia, il cui volto, proprio in questo senso, sta cambiando.

E magari si cambia anche nella politica, dove stanno prendendo forza i comici. Ma forse questa non è una grande novità.

Il capo (pro tempore) del governo, magari a conferma di quanto abbia contato il “laboratorio”, è oggi un varesino. Difficile sostenere che nella città del gran duca d’Este tutti ne siano soddisfatti. Si vorrebbe tornare al 13 dicembre del ’92, e ripartire da zero. Il fatto è che, più vecchi di vent’anni, allo zero siamo rimasti. Un passettino in avanti bisognerebbe, davvero, cercare di farlo.

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