In un suo recente intervento il ministro della Pubblica Istruzione, constatando la sempre maggiore presenza di studenti extracomunitari nelle scuole, ha osservato che c’è necessità di cambiamenti tra i quali anche quello di ripensare l’insegnamento della religione cattolica, sostituendolo magari con una più generale storia delle religioni o con un corso di etica laica. La questione non è nuova e si ripresenta periodicamente, soprattutto quando all’inizio dell’anno scolastico si pone la scelta se avvalersi o meno di tale insegnamento, anche se sono stati messi a punto degli accordi più precisi tra Stato e Chiesa riguardo i criteri di reclutamento degli insegnanti e si sono rivisti i contenuti dei programmi nelle singole classi assicurando una serietà ed una precisa dignità a questa disciplina.
Premesso che la scelta di inserire l’insegnamento della religione cattolica nel curriculum scolastico non risponde a privilegi confessionali, e che la scelta è del tutto libera, c’è da dire che il dibattito si riapre sempre nei modi già visti di accostare il fenomeno religioso non secondo la coscienza cattolica intrinsecamente legata alla storia e alla tradizione del nostro popolo, ma nell’ottica di generica comparazione di religioni e culture messe tutte sullo stesso piano, oppure con la pretesa di stabilire l’equivalenza tra Cattolicesimo e morale laica eliminando lo specifico religioso senza che la ragione sia stata in grado di fondare laicamente un’universalità della morale.
In questo dibattito sembra però sfuggire la stretta implicazione tra il Cattolicesimo con i suoi contenuti e la forma stessa della cultura e della storia del nostro paese, su cui è radicata anche l’identità dell’istituzione scolastica che tanto più può essere aperta all’educazione delle nuove generazioni quanto più sa trasmettere le radici e i criteri per comprendere il significato delle espressioni artistiche, letterarie, storiche, paesaggistiche, culturali da cui proveniamo. Per chi viene da altre culture e tradizioni ciò è ancora più importante, se non si vuole abdicare al compito educativo, in nome di una tolleranza che assomiglia troppo al relativismo, in cui tutto sarebbe equivalente e perciò senza significato, in quanto nulla potrebbe avere un valore se non al massimo quello di dettare delle regole convenzionali cui obbedire. Anche il tentativo di sostituzione della religione cattolica con una morale razionale sconta il pregiudizio moderno dell’opinabilità di ogni verità e per questo finirebbe solo a seminare dubbi nell’animo già spesso confuso dei nostri giovani, andando ad occupare uno spazio già coperto dall’educazione civica.
L’insegnamento sistematico dei contenuti della religione cattolica ha invece uno scopo diverso, che è di far conoscere le radici che sono all’origine delle creazioni più significative della nostra cultura: come comprendere la Divina Commedia di Dante o rendere intellegibili molti capolavori dell’arte italiana senza una conoscenza della cultura cristiana? O anche più semplicemente, come collocare il senso di feste come il Natale o la Pasqua che pure scandiscono per tutti il calendario della vita sociale? Certo lo scopo dell’ora di religione non è quello della catechesi della Chiesa, ma togliere tale insegnamento sarebbe un impoverimento per tutti.
Se la scuola deve essere anzitutto un’esperienza educativa è importante che aiuti a misurarsi con una visione dell’uomo ricca di significato e capace anche di suscitare relazioni positive. Ed è falso pensare che annacquare la proposta dei contenuti religiosi aiuti a migliorare il dialogo e favorisca la comprensione tra identità culturali differenti. È invece dimostrato il contrario: rinunciare alla propria identità per non turbare l’altro impedisce di fatto un sincero abbraccio con lui. Sarebbe come rinunciare alla propria lingua per non recare imbarazzo all’altro, salvo poi ottenere il risultato che nessuno capisce più ciò che l’altro dice. Perciò nasce il sospetto che dietro a questo discorso stia una sorta di laicismo di ritorno, mascherato dalla pretesa di una falsa neutralità, che spinge a limitare piuttosto che ad integrare, dimenticando che il compito della scuola non è togliere qualcosa, ma fornire criteri per dare ordine ai contenuti proposti dalle varie materie.
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