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Sport

MAROSO: STORIA GRANATA E BIANCOROSSA

ETTORE PAGANI - 21/09/2012

Ci sono sensazioni che quando toccano i sentimenti sembrano impossibili da tradursi in fatti concreti.

Così a noi amanti dello sport – ma consentitemi di usare il singolare della mia esperienza personale – pare impossibile che di Peo Maroso si debba parlare al passato. Passato di un’esistenza, sia ben chiaro; della concretezza del vivere terreno perché il resto l’astrazione – ben più importante – dei valori dell’uomo e del suo agire di passato non consentono mai di parlare. Sono sempre presenti e rimarranno.

Resta il fatto dell’incapacità a pensare a una fine da parte di chi, come chi scrive, ha passato una vita di sport quotidianamente in sintonia.

Quotidiana sintonia dal primo giorno in cui Maroso giunse a Varese facendo capolino a Masnago con quella sua testa, non rossa – non ci si confonda – ma granata, con quella pelle non rossiccia ma granata con quel cuore tutto granata.

Il colore della formazione più bella che il calcio italiano abbia mai vantato nel cui mitico trio difensivo (Bacigalupo, Ballarin, Maroso) già il suo nome figurava in capo a quel Virgilio grandissimo campione.

“Torino era ed è granata” è ancor oggi il motto dei tifosi del capoluogo piemontese opposto a quello bianconero. Granata e poi biancorosso come tutto: come giocatore, allenatore, presidente. Ma soprattutto come tifoso del Varese e della città che era diventata la sua prima passione.

Insieme ogni giorno. Assistendo ai suoi allenamenti da giocatore e commentando da allenatore. Sempre con esperienza, con capacità e con quella sua propensione al “primo non prenderle”. Logicissima in un mastino difensore, una roccia invalicabile e, quindi, in altrettanto logica mentalità. “Mister” mi capitò una volta di dirgli dopo una pre-campionato “con questa squadra sarà dura fare del bel calcio”. La risposta fu: “Pianto una linea davanti alla difesa, guai a chi si muove e lanci lunghi e ben distesi per quello là davanti”. Si chiamava Muraro: segnò non poco e la squadra fece un campionato mai sperato.

Passione, serietà e amore per il calcio e per Varese con una famiglia alle spalle a supporto sempre. Anche a questa tocca una bella parte del merito: quello degli affetti. Il resto sul campo rimarrà tutto suo.

Quasi impossibile – vale ripeterlo – la sua assenza fisica.

Rimane l’altra. Che ancor più conta.

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