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Cultura

ANTIME PARIETTI, UN COLLEGA DEL PICCIO

LUISA NEGRI - 14/09/2012

Il nostro territorio vanta artisti di tanta riservatezza quant’è la riconosciuta bravura, e la professionalità formatasi nello studio, o guadagnata sul campo. Un campo esteso, i cui confini s’allargano sovente ad altri Paesi e culture. È il caso di Massimo Antime Parietti, nato nel 1914 e mancato nel 2002, del quale una raffinata rassegna “Segreti d’autore” ancora in corso ad Arcumeggia (fino al 16 settembre), tra la Sangalleria e la Casa del Pittore, racconta, a dieci anni dalla morte, il ricco percorso d’arte e di vita. Figlio di Bosco Montegrino, come il Piccio, orfano di padre in tenerissima età, Parietti rivelò prestissimo, ancora bambino, le sue attitudini per il disegno. Le facce asciutte delle valligiane, le rughe dei loro visi cotti dal sole, furono il primo campo d’indagine, assieme alla natura domestica, selvatica e verde, della Valtravaglia. Giovanissimo, seguì a Milano la scuola d’affresco con Leonida Biraghi, un maestro mai dimenticato, e frequentò poi la scuola serale di Brera, allievo di Aldo Carpi.

La passione e il mestiere lo condussero più volte in Francia, a Parigi e in Costa Azzura, dove dipingeva, studiando la vita e le opere degli amati impressionisti, e lavorava per mantenersi, dandosi da fare in mille modi. La guerra lo trascinò poi in Albania e in Etiopia. Furono per lui luoghi di amicizia e tribolazione, di esplorazione e osservazione attenta, di conoscenza minuta e quotidiana di un’umanità mai dimenticata e più volte ritratta in intense opere.

A Parigi l’artista di Montegrino ebbe anche una frequentazione amichevole con Alberto Giacometti, del cui padre, Giovanni, capostipite dell’impressionismo svizzero, già era amico: lo andava a trovare nel famoso studio di rue Hippolyte Maindron, lo osservava lavorare, lo ritraeva intento a dar vita alle sue filiformi creature scultoree.

In Svizzera, dove visse dalla seconda metà degli anni Quaranta, in quel di Soletta, sposo della cittadina elvetica Marie Louise Riva, Parietti dipinse e lavorò in amicizia con Hans Muller – imprenditore, raffinato artista a sua volta e direttore del Kunstmuseum – con Cuno Amiet e Hans Berger, e con altri cari colleghi e estimatori della sua arte. I suoi quadri ben presto cominciarono a girare in Europa e in America – grazie anche al gallerista bernese Dobiaschofski – richiestissimi dai collezionisti e dagli esperti, soprattutto svizzeri e tedeschi.

La rassegna di Arcumeggia riconferma, dopo le mostre luinesi e milanesi dell’ultimo decennio, che illustravano la ricchezza del percorso dell’artista, l’indiscussa perizia e sensibilità del ritrattista, del paesaggista e del pittore di nature morte e di fiori, anche la varietà di sperimentazione delle tecniche e dei generi: Parietti fu oltre che pittore, scultore e ceramista. E rivelò pari bravura nella figurazione come nell’astrazione. Ad Arcumeggia ci sono anche opere inedite astratte: alcune sculture di piccole dimensioni e un ciclo pittorico astratto dedicato alla musica. Colori e armonie che richiamano Kandinskj e svelano la sua prodigiosa varietà d’ispirazione e contenuti.

Impulsivo e generoso, professionale ma anche fuori dagli schemi, artista schivo, onesto e severo con se stesso più che con gli altri, ai quali non faceva sconti, appartato e ben lontano da ogni sottomissione o protezione politica, Parietti è entrato per sempre nel cuore di chi lo ha conosciuto di persona.

La mostra, allestita e curata dal bravo Sangalli e Gabriella Badi, seconda moglie di Antime in anni ancora felici dopo il lungo, incancellabile dolore per la morte di Marie Louise, vale la visita proprio per avvicinare le opere inedite del Parietti o per chi ancora non conoscesse del tutto l’opera del conterraneo del Carnovali. Ma vale la visita anche il rinnovato appuntamento con il borgo dipinto, per ritrovare i segni incancellabili del suo passato vitale, accanto a quelli colpevoli di un abbandono sempre più evidente, di una dimenticanza per l’arroccato, panoramico paese che ha ospitato e benedetto a suo tempo il lavoro felice di Brindisi e Migneco, di Carpi e Usellini e di tanti altri, compresi i nostri Reggiori e Salvini.

Un affresco fu eseguito, anni fa, proprio da Parietti. Fu un momento per lui di grande emozione, di gioia vera e serena.

Tanto più rattrista dunque ora ritrovare nelle opere donate al borgo dagli artisti, dalla bella Via Crucis a gli affreschi sui muri, i sintomi dell’incuria del tempo. Segno triste di giorni in cui ancora si stenta a capire che la rinascita di un Paese, dove l’arte è linfa vitale, dove la cultura è pane irrinunciabile, comincia proprio dal recupero di quei beni che a tutti noi appartengono.

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