Pur se all’atto pratico non s’è mai combinato nulla, Varese ha il merito di discutere da quarant’anni del teatro. Ne discute la classe politica, ne discute la città. Se non altro viene manifestato interesse verso un patrimonio scomparso e sperabilmente da ricostituire. Altri patrimoni hanno evitato la furia distruttiva, non scampando tuttavia alla trascuratezza, e di essi sono rimasti a discutere solo gruppi di nostalgici, d’appassionati, d’inguaribili ottimisti. È il caso per esempio del Grand Hotel di Campo dei fiori, le cui sorti sembrano non importare per davvero a nessuno, nonostante potrebbero essere sorti perfino magnifiche e progressive qualora fantasia e intraprendenza prevalessero.
Il Grand Hotel sopravvisse dieci anni alla funicolare e un quindicennio al vecchio Teatro Sociale. Pareva che lo si volesse rilanciare adeguandolo ai tempi che cambiavano (soprattutto al modo di far vacanza che si rivoluzionava), fu però un’illusione. Il passaggio proprietario da un privato all’altro non portò nulla in meglio alla comunità. Semmai in peggio: abbandonato al suo degrado, il simbolo della Belle Epoque diventò il malinconico supporto d’un antennificio. Venne perfino lasciato alla mercé dei ladri, che vi sottrassero di tutto e di più. Il povero architetto Sommaruga, progettista geniale dell’opera, dev’essersi rivoltato spesso nella tomba, scorgendo lo scempio fatto d’una così straordinaria ricchezza del Liberty.
Di questa tenace sciatteria la politica argomenta “en passant”, quasi per obbligo consuetudinario. Butta lì una chiacchiera (magari una chiacchiera elettorale), e poi basta, non va oltre. Mai che si sia vista la determinazione a studiare qualcosa d’attendibile, serio, convinto. La verità è che nel futuro del Grand Hotel, e di conseguenza d’un Campo dei Fiori turisticamente e/o culturalmente appetibile, non ha mai creduto nessuno. Impresa data per velleitaria, inutile, perdente.
Eppure potrebbe non essere così. Potrebbe essere che il Campo dei fiori diventi il valore aggiunto di Varese. Il Campo dei fiori nel suo insieme, il Grand Hotel e tutto il resto. Architettura d’epoca più parco sontuoso, storia più natura, arte più benessere: dite voi quanti e dove hanno il modo d’offrire un tale pacchetto al visitatore. All’ospite. Ma anche a sé stessi. Cioè Varese a Varese medesima: saremmo i primi a beneficiare del ricupero e della riconversione dell’albergo, per non dire del ripristino della funicolare. Altrove ci s’inventa oasi salutistiche in luoghi di dubbia amenità, perché non confidare in un simile obiettivo qui da noi, ovviamente con gl’incentivi adatti – esiste la possibilità di fruire di finanziamenti europei – a muovere l’iniziativa privata?
Giusto cent’anni fa veniva portato a termine lo spettacolare edificio sulla cima della montagna. Un evento che richiamò attenzioni italiane e straniere e il cui anniversario, anziché cadere nell’oblio della municipalità, avrebbe potuto rappresentare l’occasione della riscoperta d’un passato utile a guardare verso il futuro. Adesso che si redige il nuovo piano di governo del territorio, varrà la pena di rimediare alla smemoratezza: non è pensabile che il destino del Campo dei Fiori resti escluso dal dibattito sull’orizzonte di Varese nel terzo millennio.
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