Accantoniamo per ora i problemi – gravissimi – legati al doping nello sport e in particolare nel ciclismo, indubbiamente la disciplina più colpita ma che più di tutte le altre ha cercato di emendarsi intensificando i controlli, affinando di continuo gli strumenti tecnologici di indagine, facendo dopo anni di ipocrisie mediatiche un’informazione finalmente decente. Mettiamo dunque tra parentesi il caso Armstrong (sette Tour che rischiano di essere cancellati in via retroattiva) e il caso Contador (un Tour e un Giro annullati per una controversa positività al clenbuterolo). Tuttavia se il primo è il passato prossimo delle grandi corse a tappe, il secondo è il presente e, piaccia o meno, sarà il futuro per molto tempo ancora vista l’età, ventinove anni, e la sua grande vittoria alla Vuelta. Vuelta che l’italico provincialismo informativo ha regalato a Eurosport, l’unica stazione televisiva che ne ha dato puntualmente conto sia pure attraverso telecronache dove il “cazzeggio” giornalistico ha fatto largamente premio sull’informazione tecnica, sul pathos della corsa, sulla splendida cornice paesaggistica.
È stata una gara apertissima dove quattro campioni, tre spagnoli (Contador, Valverde, Rodriguez) e un australiano, il luogotenente di Wiggins, Chris Froome, si sono dati battaglia a viso aperto quasi ogni giorno senza eccessivi tatticismi e calcoli di sorta. Insomma un ritorno al ciclismo dettato più dal cuore, dall’intuito del momento, che dagli auricolari delle radio delle ammiraglie. Niente a che vedere dunque con il nulla agonistico dell’ultimo Tour disegnato su misura per il metronomo Wiggins e per compiacere tutti i suoi ricchi sponsor, né con le attese infinite di un Giro d’Italia dove il copione era sempre lo stesso, almeno nelle tappe chiave: fuga da lontano di volonterosi comprimari e dietro battaglia a colpi di fioretto tra i favoriti, la cosiddetta corsa nella corsa che è quasi sempre garanzia di noia in mondovisione.
La differenza in positivo della Vuelta non è soltanto ascrivibile al carattere più caliente dei tre iberici ma piuttosto va cercata nel percorso ricco di notevoli difficoltà ma giocato su tappe piuttosto brevi – pochissime quelle oltre i duecento chilometri – ondulate, con montagne da scalare molto dure ma non impossibili. L’esatto contrario accade invece da qualche anno al Giro d’Italia dove magari si sommano nella stessa tappa il Mortirolo, lo Stelvio e altri tre o quattro colli di contorno. Risultato: corsa congelata fino all’ultimo per legittima paura di saltare, di incontrare l’homme au marteau,come dicono i francesi, ovvero la cotta che svuota polmoni, cuore e taglia le gambe. Torniamo dunque a disegnare Giri e Tour più nervosi, più propizi alle imboscate ciclistiche e agli attacchi da lontano. È proprio con un attacco da lontano, in una tappa di media difficoltà, che Alberto Contador ha fatto fuori la concorrenza. Non nei tanti arrivi in salita, dove ha comunque e sempre attaccato, più propizi allo scatto imperioso di Rodriguez e ai recuperi di Valverde e neppure nelle cronometro comunque programmate su distanze accettabili anche per i non specialisti. Il gran pubblico delle due ruote che assiepa le strade oggi come ieri chiede un ciclismo pulito, epico e picaresco al tempo stesso, esattamente il contrario di quello ragionieristico degli ultimi anni.
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