Spesso in passato grandi personalità della cultura hanno fatto sull’Italia affermazioni del genere : “È un Paese dicontemporanei senza antenati né posteri perché senza memoria di se stesso.” (Ugo Oietti); “L’Italia è un paese senza memoria e verità ed io per questo cerco di non dimenticare” (Sciascia).
È ancora così? Davvero gli italiani sono un popolo senza memoria?
Purtroppo a vedere quello che accade oggi in Italia bisogna dire con Pasolini che sì, “Noi siamo un paese senza memoria: il che equivale a dire senza storia: l’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio televisivo, e tiene solo i suoi ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo con le sue contorsioni, le sue conversioni”. Del resto a confermare questo assunto basta vedere quello che accade ogni giorno nel nostro povero e bistrattato Paese per dare loro ragione.
Nel dibattito politico si può affermare tutto e il contrario di tutto. Tanto nessuno si ricorderà mai che cosa hanno detto, solo pochi mesi prima, politici, intellettuali, imprenditori, calciatori ecc. E se costoro venissero smentiti da chi la memoria la conserva ancora molto viva e vigile, si sentirebbero autorizzati ad accampare scuse improbabili, che vanno dalla presunta ironia, all’errata interpretazione, di ciò che è stato da loro affermato. “Oggi – denuncia l’associazione Libertà e Giustizia – assistiamo a segni inequivocabili di disfacimento sociale: perdita di senso civico, corruzione pubblica e privata, disprezzo della legalità e dell’uguaglianza, impunità per i forti e costrizione per i deboli, libertà come privilegi e non come diritti, legami sociali a rischio, idee secessioniste, pulsioni razziste e xenofobe, volgarità, arroganza e violenza nei rapporti tra gli individui e i gruppi”. Purtroppo questo lascito perverso è il frutto amaro della devastazione sistematica e continua, operata dal craxismo e soprattutto dal berlusconismo, di quei valori democratici politici, morali, culturali e civili ereditati dalla lotta di Liberazione dal nazifascismo e che sono alla base della nostra Costituzione.
Le parole di Oietti, Sciascia, Pasolini ecc., solo per citare alcune tra le tante personalità che si sono espresse sulla mancanza di memoria degli italiani, a risentirle oggi, ci offrono una chiave di lettura – quasi umiliante nella loro preveggenza – sul perché siamo arrivati a questo punto. Qualcuno, dunque, ci aveva avvertito. Mai come ora è giustificato l’allarme. Per questo, oggi più che mai, diventa così importante recuperare la memoria di chi ci ha preceduto ed è riuscito a leggere, negli eventi del suo tempo, ciò che noi stiamo vivendo solo ora. Non a caso Arthur Schopenhauer, nella sua opera Il mondo come volontà e rappresentazione, cercava di mettere in guardia gli immemori dal sottovalutare il ruolo della storia:“Un popolo che non conosce la propria storia” – diceva il filosofo – “è limitato al presente dell’attuale generazione: perciò non comprende se stesso e il proprio presente; perché non può rapportarlo al passato e spiegarlo in base a quello; né tanto meno può anticipare il futuro. Solo mediante la storia un popolo diviene pienamente consapevole di sé stesso (…)”.
Ma questo severo ammonimento sembra essere caduto nel vuoto perché gli italiani e in particolare i nostri giovani studenti o non l’hanno mai sentito o se l’hanno sentito, l’hanno sicuramente dimenticato, annegandolo in mezzo ad una miriadi di altre informazioni, comunque non facendone tesoro.
Una conferma in tal senso ci viene da Umberto Eco che scrive, in una delle sue “bustine di Minerva” (l’Espresso, 23 agosto, 2012,“Poveri bersaglieri”) “essendo caduto il discorso durante un esame non so come e perché sulla strage alla stazione di Bologna, di fronte al sospetto che l’esaminando non sapesse neppure di cosa si stesse parlando, gli era stato domandato se ricordava a chi fosse stata attribuita. E lui aveva risposto: ai bersaglieri. La faccenda dei bersaglieri sembra riassumere efficacemente il difficile rapporto di moltissimi giovani coi fatti del passato (e coi bersaglieri).Tempo fa alcuni giovani intervistati hanno detto che Aldo Moro era il capo delle brigate rosse. Del resto molti parlamentari e persino un governatore di regione interrogati dalle Iene televisive sul perché la data del 17 marzo del 2011 fosse stata scelta per celebrare i centocinquant’anni dell’unità d’Italia, hanno dato le rispose più strampalate, dalle Cinque giornate di Milano alla Presa di Roma. Certo c’entra anche la scuola che non fa a pieno il suo dovere, ma non credo che tutta la colpa sia della scuola”. Come dargli torto? Eco nel fare questa affermazione comprende che all’origine del fenomeno vi sono motivazioni più complesse e profonde.
Quali? Quelle che riporto in parte, qui di seguito, riprendendole dall’ interessante saggio di Elisa Soncini, PhD Università Vita – Salute San Raffaele, Eccesso di memoria ed eccesso di Archivi: “Le inedite possibilità di registrazione del presente che caratterizzano l’epoca contemporanea (per disponibilità di supporti, facilità di archiviazione, alfabetizzazione di massa) fanno si che oggi, diversamente da quanto accadeva in passato, quando solo una ristretta minoranza era destinata alla creazione di cultura (e quindi di storia e di memoria), tutti possano potenzialmente divenire produttori di testimonianze storiche da affidare al futuro. Basta infatti possedere una videocamera per poter immortalare un frammento di realtà e, attraverso la rete, condividerlo e affidarlo ai posteri, oppure avere accesso a internet e attraverso un blog o un forum lasciare testimonianza scritta di ciò che si è vissuto personalmente. Se infatti storicamente la trasmissione del ricordo è sempre stata affidata ad un’elite predisposta al controllo pubblico del passato, che attraverso operazioni di censura e di gestione esclusiva degli archivi, selezionava i documenti e le versioni del passato “tramandabili”, oggi la narrazione del passato è divenuta un campo sempre più aperto in cui, accanto ai racconti prodotti da istituzioni e professionisti del passato, si collocano “messe in forma” della storia e della memoria ad opera di singoli che liberamente scelgono di divenire pubblicamente narratori del presente e del passato.(…)
La ricchezza narrativa contemporanea produce un effetto disorientante perché l’offerta di risorse possibili è talmente ampia che i singoli racconti finiscono per entrare in reciproca concorrenza, se non sovrapporsi gli uni agli altri provocando dimenticanza per sovraffollamento simbolico (Eco, 1990). La disponibilità è tale che il singolo rischia di venire frastornato da tanta abbondanza e varietà. Anche perché al moltiplicarsi delle fonti corrisponde un calo delle possibilità di gestione e di ordinamento delle risorse e il passato rischia di diventare una realtà sempre più caotica e poco lineare, soprattutto a fronte della progressiva perdita di potere delle agenzie tradizionalmente preposte alla gestione e trasmissione del passato (le istituzioni, la scuola, la famiglia)”.
Ho voluto riportare questa lunga citazione perché mi sembra che l’autrice, con le sue parole, colga con acume ed a pieno il senso della nuova e complessa tematica della produzione, conservazione e gestione della memoria che l’attuale società multimediale ci va proponendo ormai da tempo.
Dalle riflessioni della prof.ssa Soncini possiamo concludere quindi che il nostro studente che attribuiva la strage di Bologna ai bersaglieri “forse non era qualcuno al quale era stato detto troppo poco, ma qualcuno” – come dice U. Eco – “a cui era stato detto troppo, e che non era più in grado di selezionare ciò che valeva la pena di ricordare. Aveva nozioni imprecise circa il passato non perché non gliene avessero parlato, ma perché le notizie utili e attendibili erano state confuse e seppellite nel contesto di troppe notizie irrilevanti”.
Ma del resto se si analizza a fondo l’odierno fenomeno si capisce che si sta realizzando quello che aveva profetizzato Nietzsche, nella “Seconda considerazione inattuale” sull’utilità e sul danno degli studi storici per la vita, circa i pericoli dell’eccesso di memoria. “Immaginate l’esempio estremo”- dice il filosofo – “ un uomo che non possedesse punto la forza di dimenticare, che fosse condannato a vedere dappertutto un divenire: un uomo simile non crederebbe più al suo stesso essere, non crederebbe più a sé, vedrebbe scorrere l’una dall’altra tutte le cose in punti mossi e si perderebbe in questo fiume del divenire… Per ogni agire ci vuole oblio come per la vita di ogni essere organico ci vuole non soltanto luce, ma anche oscurità”. Ed ancora aggiungeva il filosofo:“Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto, e di giorno in giorno, legato brevemente”.
Ma per l’uomo non è così. L’ uomo, nota Nietzsche, a differenza dell’ animale, che è un essere non storico, deve portarsi il fardello del passato sempre con sé, fardello “invisibile” che lo schiaccia a terra. Di qui l’appello ai giovani affinché elaborino un’arte della dimenticanza.
Una riflessione analoga sul fatto che solo l’uomo a differenza dell’animale è costituzionalmente formato per ricordare la fa anche Cesare Pavese. La sera del 27 agosto 1950 venne ritrovato, nella camera dell’hotel torinese in cui lo scrittore si suicidò, un foglietto sul quale aveva trascritto la frase conclusiva del dialogo di Circe con Leucotea, tratto dai suoi “Dialoghi con Leucò”: “Circe aveva parlato a lungo del suo incontro con Odisseo per cui Leucotea le fa rilevare che, non avendo Circe fatto di lui né un maiale né un lupo, 1’aveva fatto “ricordo”; e Circe così conclude: “ l’uomo mortale non ha che questo di immortale, il ricordo che porta e il ricordo che lascia”.
E questo è profondamente vero; ma oggi, rispetto al secolo di Pavese e ancor più a quello di Nietzsche, ricordare sta diventando sempre più difficile per l’uomo. Infatti alla società grafica si è aggiunta la cosiddetta “società di rete” che (con la sua proliferazione digitale del passato attraverso internet, Web, Facebook, Twitter, You Tube ecc.) sta mettendo a disposizione, come abbiamo detto, un’enorme quantità di eventi e notizie. Ciò crea un eccesso di memoria culturale che frastornando i suoi fruitori, li rende ormai incapaci di ricordare e ragionare.
A questo punto sorgono alcuni interrogativi di fondo: se “senza memoria storica un Paese non può vivere e non ha futuro”, come dice l’ex – Presidente emerito della Repubblica l’On. Oscar Luigi Scalfaro, ma parimenti – come ci ricorda Nietzsche – e noi lo stiamo constatando ogni giorno, un eccesso di memoria non è senza conseguenze e non produce meno danni per una nazione della mancanza di memoria, come risolvere questa contraddizione? Come ridare all’uomo il diritto dovere di ricordare, aiutandolo nel contempo ad eliminare gli elementi marginali che rischiano di distogliere l’attenzione dal nucleo dei ricordi fondanti, e ad elaborare una selettiva arte della dimenticanza e del ricordo? Come restituire all’Italia e alle sue Istituzioni in una società globalizzata la capacità egemonica educativa di elaborare e selezionare quell’universo simbolico di valori della tradizione attraverso cui i propri cittadini costruiscono il loro senso di appartenenza al passato?
Come si può vedere sono quesiti non retorici e né oziosi e dalla risposta corretta che si darà loro dipenderà la soluzione del problema. Personalmente, data la complessità della tematica, e nell’economia dell’articolo, vorrei limitarmi a dire cha spetta certamente ai giovani, di fronte alla perdita di memoria e all’attuale proliferazione narrativa che produce un eccesso di memoria e una dispersione e frammentazione del ricordo, il compito di selezionare e ricomporre le diverse risorse in un racconto coerente e significativo, capace di sorreggere e orientare il loro vissuto. Ma in questo loro sforzo di ricomposizione morale, storica, culturale e civica della loro identità devono trovare al loro fianco anche lo Stato, i partiti, la Chiesa, la scuola e la famiglia. Queste agenzie formative, profondamente riformate, dovranno riprendere la loro funzione educativa e con uno sforzo congiunto finalizzato a contribuire alla costruzione e alla condivisione di ricordi fondanti, dovranno creare e selezionare una nuova cultura storica all’altezza delle problematiche del Terzo Millennio. Solo assicurando una sana memoria storica al nostro Paese ed educando gli italiani e a discernere quali tra i valori del passato siano degni di essere ricordati e quali invece tralasciati, perché ingombranti ed inadeguati a creare un’identità consapevole e critica, si potrà farli vivere responsabilmente e civilmente da protagonisti in questa società globalizzata e “liquida”.
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