Il tempo di scuola si approssima e al di là della necessità che l’istituzione risponda anche alle esigenze della tecnologia e del mercato, si impone l’attenzione al fatto che qualifichi al massimo quello che è il suo compito più importante: l’educazione. L’altra agenzia, cui è riservato tale impegno, è indubbiamente (e in primis) la famiglia, che si trova dinanzi a problemi sempre nuovi e urgenti, considerato che non è più quella patriarcale coi suoi valori, che sta cambiando anche quella nucleare a circuito chiuso, in un contesto di istituzioni tradizionali in incessante evoluzione (in certi casi si può parlare di involuzione).
A quali valori deve educare la scuola? A contemplare innanzitutto la dignità della persona umana con i suoi profondi bisogni esistenziali, in una logica di convinta solidarietà; a privilegiare il senso del bene comune oltre ogni facile e superficiale retorica e gli obiettivi comuni di una società, riconoscendo e valorizzando già in partenza la presenza e il lavoro di tutti i membri. Così si crea una comunione di ideali, di responsabilità sociali, oltre le tentazioni sempre insorgenti dell’individualismo disgregatore e della pura logica del profitto. Il che non significa umiliare la creatività, la sana emulazione, la realizzazione di progetti personali non dispersi atomisticamente. Bisogna condurre ogni alunno a scoprire ed avere coscienza della propria identità e vocazione contro i tanti fattori di alienazione e il conformismo. A tal fine è necessario anzitutto che, rinunciando a visioni sterilmente elitarie dei problemi in chiave di rimpianti, il docente impari i linguaggi dei giovani e ne comprenda le esigenze in luce di attualità, avverta il bisogno che essi sempre hanno di sentirsi presi sul serio, in tutti i bisogni-diritti di carattere psicologico. L’alunno deve trovare a sé dinanzi persone che senta vivere per lui.
Don Bosco riteneva che l’educazione fosse cosa del cuore, rispondente al comandamento dell’amore. I ragazzi sono un valore per quello che sono. L’amore è gratuito e non deve essere condizionato dalle qualità dell’educando e dai suoi comportamenti. Essenziale e necessaria è la logica della recuperabilità: ogni persona è sempre educabile, capace di migliorare il proprio potenziale umano. Deve intervenire un rapporto di accettazione reciproca, di simpatia. L’amore deve essere preveniente. Un educatore poliziotto è un pessimo educatore.
Si tratta di un’arte che pretende originalità e individualità, autenticità e serenità. Un tempo si parlava di vocazione. Certo è indispensabile che l’educatore abbia raggiunto la propria maturità, che progredisca poi insieme con gli altri verso la realizzazione integrale della propria umanità. Non si imponga come esempio, ma risulti un sicuro punto di riferimento, contestabile nei rapporti a livelle generazionale e insieme garanzia di un ancoraggio, che illumini sui valori fondamentali.
Prendendo coscienza della complessità delle situazioni, non semplifichi banalmente, ma con un linguaggio orientato alla problematicità inviti a un abito critico nella soluzione dei casi, sia disponibile e umile, paziente nella speranza.
Soprattutto tenga presente che l’educazione è un’arte gioiosa, non un lavoro forzato riducibile a merce. Doni amore e lo riceverà prima o poi, senta rispetto per gli alunni e ne sarà rispettato. Si tratta alla fine di autorevolezza, non di un’autorità male esercitata.
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