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Attualità

I BANDITI DAL COLLETTO BIANCO

FRANCO GIANNANTONI - 07/09/2012

Una “tragedia immane” l’ha definita nella sua interminabile rigorosa requisitoria del febbraio scorso al Tribunale di Torino il Procuratore della Repubblica Raffaele Guariniello. La tragedia dell’amianto. Guariniello, un magistrato che si è specializzato in una tipologia di reati che i potenti non vorrebbero mai che fossero perseguiti perché per ingordigia li compiono proprio loro, i reati dell’ambiente, della fabbrica, delle camere operatorie, dei cicli produttivi, per fortuna esiste. Difficile trovarne altri di magistrati della sua statura giuridico-scientifica e della sua abilità inquisitoria. Il suo nome, dal momento che parliamo dell’amianto di cui quasi ogni città italiana purtroppo è tuttora ricolma, ci porta all’Eternit di Casale Monferrato, una realtà urbana tutta impregnata di veleno, la polvere finita in ogni angolo, dentro i reparti produttivi, negli abiti e nelle tute da lavoro degli operai, nella loro pelle, nei loro capelli, un micidiale, invisibile veleno che anno dopo anno presenta il suo conto. La morte per tumore.

Casale Monferrato è il simbolo stragista: migliaia di morti per questo maledetto “mesotelioma pleurico”, un nome che pronunciato fa impallidire perché vuol dire morte assicurata. A oltre venticinque anni e più dalla chiusura dello stabilimento, l’impronunciabile malanno tuttora semina peste. Ogni anno dicono le statistiche ci sono cinquanta morti. I residenti sono sottoposti a esami continui. La prevenzione può avere un suo ruolo.

Il 13 febbraio la sentenza del Tribunale di Torino è stata “storica”: sono stati condannati quali responsabili di “disastro ambientale” doloso e omissione dolosa di misure antinfortunistiche gli eredi diretti delle famiglie che da oltre un secolo controllano la proprietà dell’azienda Eternit, ora colosso multinazionale: il barone belga Louis de Cartier de Marchienne e il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny che, secondo la saggistica, ha fatto a tempo, mentre la gente veniva sterminata, a studiare filantropia ambientalista, un modo scaltrissimo per mettersi dalla parte delle vittime.

Il dolo e non la colpa, la volontà e non il caso. L’azienda sapeva la verità e malgrado questo ha lasciato che la produzione continuasse, accettando il rischio che il veleno corresse per l’ambiente. È stato il trionfo della sfrenata logica del capitalismo, la realizzazione di osceni guadagni, alla faccia del proprio simile.

Il dramma di Casale oggi è fotografato e radiografato in un libro Amianto. Processo alle fabbriche della morte (editore Melampo, prefazione della segretaria nazionale della Cgil, Susanna Camusso. pp. 161, euro 15) del giornalista Giampiero Rossi, caporedattore del settimanale “A”, dove il plurale “fabbriche” richiama le altri stragi degli avidi padroni, quelli della Thyssen di Torino, dell’Ilva di Taranto eccetera in grado di muoversi con assoluta disinvoltura, con la collaborazione dell’amministrazione pubblica locale, regionale e nazionale, assente da simili scenari, il che equivale a puro collaborazionismo.

Leggere questo libro è molto istruttivo. Prende alla gola. Travolge. Spiega qual è l’andazzo nel Bel Paese dove ci può essere Mario Monti e il suo rigore ma se il livello civico non cresce (e non si capisce come potrebbe con i campioni in circolazione) la fine è dietro l’angolo.

Ci sono voluti due anni di dibattimento, migliaia di documenti recuperati in ogni dove dai segugi del bravissimo Guariniello che invano da mesi lancia l’idea di una Procura Nazionale per i reati ambientali (un po’ come per la lotta alla mafia), decine di complicate e come sempre opinabili perizie e controperizie, testimonianze dei familiari dei caduti, con a testa magari più di una vittima, per convincere i giudici di ciò che la cittadinanza andava raccontando da decenni. I padroni della Eternit avevano fatti gli gnorri ma in realtà erano ben consci del disastro che stavano compiendo al punto che si erano abbandonati a significative elargizioni in denaro a destra e a manca per impedire – cosa per fortuna non riuscita – il varo di norme che evitassero l’uso dell’amianto. E ancora: controinformazione a suon di milioni per affermare a livello scientifico su riviste del settore che chi paventava pericolosi nessi con il cancro si sbagliava di grosso. Callida delinquenza col colletto bianco.

Il giornalista Rossi spazia in ogni direzione, coglie i vari personaggi, li tratteggia e li pone all’attenzione del lettore. Anche (direi soprattutto) la straordinaria figura della ottantatreenne Romana Blasotti Pavesi, presidente dell’Associazione delle Vittime del disastro che, per quel cancro maledetto, ha visto morire il marito, la sorella, una nipote, una cugina e per finire, come se non bastasse, una figlia cinquantenne.

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