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Attualità

FUORI DALLA CRISI EUROPEA

ROMOLO VITELLI - 20/07/2012

Mario Monti, parlando all’assemblea dell’Abi, nello stesso giorno in cui è stata confermata l’intenzione di Silvio Berlusconi di ripresentarsi alle elezioni (ma sarà poi vero?) in tandem con Alfano, ha ricordato: “Tutte le testimonianze mi dicono che Berlusconi è stato sottoposto a una pressione sgradevolissima, per lui e il Paese, prossima all’umiliazione che, sostanzialmente, avrebbe portato l’Italia a cedere buona parte della sua sovranità e discrezionalità”.

Il presidente del Consiglio ha aggiunto che al G20 di Cannes: “Ci fu un tentativo di far cedere all’Italia parte della sua sovranità”. Un tentativo di messa in protezione dell’Italia dovuto non solo alla crisi, ma anche alle politiche sbagliate che erano state fin lì perseguite. È noto che poi, grazie al passo indietro che la politica e Berlusconi furono costretti a fare, sono arrivati il governo Monti e il decreto Salva Italia. “Questo governo – scrive su l’Unità del 12 luglio Emanuele Macaluso – con tutti i suoi limiti e contraddizioni inevitabili con questa maggioranza-non maggioranza che lo regge ha evitato la ‘macelleria sociale’, che invece vediamo in Grecia”.

 Il Governo ha evitato il fallimento del nostro Paese e da allora molto è cambiato. L’Italia ha intrapreso un “durissimo percorso di guerra,” come ha ricordato Monti. Bisogna prendere atto che di questo si tratta e bisogna dirlo al Paese con estrema chiarezza. Ma la “guerra” che l’Italia sta portando avanti non potrà essere vinta se parimenti l’Europa non si mostrerà più pronta ad assumere le decisioni anticrisi che le competono e che gravano sui Paesi membri. Senza le ineludibili condizioni, da più parti ricordate, il risanamento e la crescita nazionale dei vari Paesi e una maggiore integrazione europea, la “guerra” non sarà vinta né dall’Italia né dagli altri Stati europei.

Perché dico questo? Perché oggi lo scenario mondiale è molto cambiato rispetto alla prima fase della costituzione della Ue. Quella che si presenta oggi di fronte agli attacchi dell’Euro è un’Europa sfiancata, sfibrata che fatica a fare fronte alla globalizzazione, alla speculazione finanziaria e alle sfide dei Paesi emergenti: Cina, India, Pakistan, Brasile, che sembrano essersi ormai svegliati dal loro lungo letargo, per non parlare dell’estremismo islamico.

Questi Paesi oggi contendono e contenderanno sempre più, con il Giappone, il primato agli Stati Uniti, che sembravano un sicuro successore dell’Europa nel dominio del mondo dopo la sua sconfitta, seguita alla seconda guerra mondiale. Esaurita la spinta propulsiva, piena di energia morale e ideale, di capacità organizzativa, di costanza e spirito di sacrificio, della sua prima fase costitutiva, l’Europa, sembra ormai sfiancata, sfiduciata e destinata a un inarrestabile tramonto.

È possibile ridare ancora un ruolo più efficace e competitivo all’Europa o bisogna rassegnarsi al suo declino? Penso che solo una politica d’integrazione degli Stati europei possa assicurare all’Europa un ruolo non marginale negli scenari che si vanno approntando nel mondo; ma per conseguire questo obiettivo è necessario che la politica, con la “P” maiuscola, torni sulla scena in tutti i paesi della Comunità e spinga gli stati membri a un’integrazione sistematica organica e completa dell’Europa stessa.

Sarà quello dell’integrazione un cammino lungo e faticoso, e occorreranno decenni prima che si potrà parlare di vera unione, perché gli Stati membri non vorranno cedere parti di sovranità. E la ragione è chiara: la sovranità è considerata come la tutela della propria identità nazionale, e l’identità nazionale è certo la più grande e profonda ricchezza dei popoli, costruita attraverso secoli di dure lotte, cementata e contraddistinta da lingue, religioni, culture e folklore diversi; e nessuno vuole rinunciarvi in nome di un’Europa che parli con una sola lingua e una sola voce.

La mancanza di una Comunità europea, formata da una federazione di Stati, espone l’Europa, in un’economia mondiale globalizzata, a molti pericoli. Per ora la più grande difficoltà, resta questo attaccamento degli Stati membri alla loro sovranità.

Eppure se vogliamo un’Europa che non abbia soltanto una moneta unica, ma anche una politica e un sistema economico-finanziario unico non c’è altra strada che l’integrazione politica, economica, culturale, fiscale e militare, ma ciò non significherà per forza dover rinunciare alla tutela della propria identità nazionale. Indubbiamente l’identità nazionale è certo la più grande e profonda ricchezza dei popoli, ma ad essa dunque non si deve rinunciare. Ma bisognerà lottare insieme per farla crescere, e trasfonderla in un’identità superiore e più ampia. Noi non possiamo dimenticare che abbiamo anche un’altra identità, l’identità europea. Essa non cancella, ma allarga e invera quella nazionale, perché quella nazionale si è sviluppata nell’ambito europeo, come parte di un tutto culturale e politico.

Solo ripensando la struttura complessiva politica della Comunità europea e portando avanti il processo d’integrazione il “durissimo percorso di guerra,” potrà essere sconfitto e si potrà ridare ruolo e prestigio all’Europa.

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