Nello strano bipolarismo italiano, affollato di soggetti politici personalistici ma povero di ideali e di programmi, i giovani si trovano a disagio, non ci stanno volentieri, sospettano di essere ostaggi delle generazioni anziane che non vogliono cedere il posto e così si creano delle tensioni interne che non derivano da differenze ideali ma da uno scontro di mentalità.
La contrapposizione tra le generazioni non è nuova in politica; fu inventata dal fascismo per sostituirla alla lotte di classe come sfogo all’istintività.
Nel mondo attuale, edonista e consumista, la cultura giovanilista affonda le sue radici nel desiderio diffuso di assumere il benessere del proprio corpo (wellness) e il prolungamento della giovinezza (fitness) assimilando le opportunità che il mercato può offrire.
Le conseguenze del culto della corporeità sono essenzialmente due: la stimolazione della sessualità come “diritto” e l’orrore per la corporeità invecchiata e sofferente. “Essere anziani è una inabilitazione – ha scritto il sociologo Zygmunt Bauman – perché rappresenta la limitazione dei desideri, la moderazione dei bisogni, l’inaccessibilità alle seduzioni del mercato, essere anziani è un anatema nella società consumistica”. Solo Berlusconi con i suoi discutibili stili di vita è riuscito a capovolgere lo stereotipo.
Non c’è dubbio che la giovinezza si accompagni, nell’opinione diffusa, con l’energia, il coraggio, il gusto innovativo e la provocazione, cioè con quei caratteri che sono considerati come antidoti alla lentezza e alla incoerenza della politica.
Ma di per sé il fare non significa nulla. Dipende da cosa si fa, mentre sono state le grandi idee, le intuizioni geniali che hanno cambiato le condizioni storiche.
Più che l’esperienza degli anziani, comunque datata, importa il collegamento che tramite essi si instaura tra le generazioni in modo da attualizzare le memoria storica.
La testimonianza degli anziani non può essere sostituita dai libri, dai giornali,dalla televisione e da Internet ma è anche irragionevole che essa non possa essere vagliata criticamente e sostituita.
Chi vive di politica per lucrarne i benefici deve accettare frequenti ricambi; chi vive per la politica come vocazione può offrire una testimonianza che non va soggetta ad esaurimento.
La politica deve essere formata e rappresentata da tutte le generazioni e le categorie sociali.
Quel gruppo di giovani che pensa di poter rinnovare la società e la politica “rottamando” i dirigenti anziani dimostra di non essere competitivo e, soprattutto, di non tenere conto del valore inestimabile della dignità umana per fondare il sentimento comune della tolleranza e del rispetto.
L’intellettuale Ortega y Gassset notava, nel celebre libro “La ribellione delle masse”, come il giovanilismo ha inondato il nostro continente di infantilismo.
Ogni generazione preferisce rinascere ex novo come il giorno della creazione; dimenticando il passato è diventato quasi un dovere, ma la storia procede per evoluzione non per rotture, incorporando pezzi di passato.
Le ultime generazioni sono state investite dalle innovazioni tecnologiche della modernità che hanno staccato il loro mondo dalle altre età, creando una frattura sensibile e staccando il mondo giovanile dagli interesse generali.
I giovani sono così caduti in una trappola raffinata, si sono convinti di essere non un’età della vita ma una classe sociale a sé. Contano meno di prima e il “partito giovanilista” diventa un gruppo settoriale che non acquisisce consensi perché non rappresenta i problemi generali del Paese.
In politica si traduce nella perdita di immaginare il futuro per inseguire “l’attimo fuggente” finché si è giovani e attivi.
Se viene meno la percezione del futuro scompaiono gli ideali che hanno dato sostanza alla politica come gestione corresponsabile della società e viene sostituita da un insieme di desideri inappagati che generano insicurezze e crisi, cioè dall’antipolitica.
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