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Lettera da Roma

TRACCE DI VARESE

PAOLO CREMONESI - 13/07/2012

C’era anche qualche traccia di Varese nelle sei ordinazioni sacerdotali della Fraternità San Carlo il 23 Giugno scorso in Santa Maria Maggiore.

Di Tommaso Pedroli s’è già letto su RMFonline di due settimane fa. Va aggiunta la storia di Ruben Roncolato da Sant’Antonino Ticino, frazione di Lonate Pozzolo. “Un ragazzo attento, appassionato, curioso” lo ricorda il parroco don Paolo Torti. “Un ingegnere con il cuore da artista. L’ho visto crescere, andare all’università, incontrare la comunità di CL al Politecnico. Ma la sua passione per la Chiesa ha continuato a riversarsi nella nostra parrocchia. Così abbiamo sempre sentito la sua vocazione come legata anche a noi”.

Già mezz’ora prima dell’inizio della messa, celebrata dal cardinale Kurt Koch, presidente del dicastero per l’Unità dei cristiani, in cui si ordineranno anche sei nuovi diaconi, la basilica è già piena. Loro là, vestiti di bianco, sdraiati bocconi a terra nel momento più struggente della lunga cerimonia, sembrano ancor più persi tra i lucidi marmi del pavimento e l’oro sfavillante del soffitto rinascimentale della chiesa, il primo oro che si dice Papa Borgia fece venire appositamente dal Nuovo Mondo. Eppure la storia della vocazione di ciascuno è tenace, stabile, insostituibile. Un seme attecchito nella terra di un popolo che non ha ostacolato l’opera di Dio.

Ascoltando i racconti di questi giovani dalle facce belle e pulite, entusiasti come si può essere a trent’anni, si resta colpiti dall’apparente ‘insignificanza’ della loro chiamata.

“Un pensiero dominante – prova a spiegare per esempio Roncolato – che ha sempre vissuto in me e che mi ha aspettato con pazienza; indimostrabile eppure presente e sempre vivo, fedele, radicale”.

Come scriveva Don Giussani alla fine degli anni Cinquanta “la mia vita continua perché Egli continua a chiamarmi, impedendomi di ricadere nel silenzio del nulla da cui fui tratto”. Ma di per sé un piccolo seme non basta. Ed è qui che entra il secondo punto comune alle storie di questi neosacerdoti così diversi nella loro dinamica, così uniti nel loro muoversi: un popolo all’interno del quale sono cresciuti: una fraternità all’interno della quale un ‘padre’ li ha guardati.

“È strano che proprio io che non sono sposato – osserva don Massimo Camisasca, superiore generale e fondatore della San Carlo – parli di paternità. Ma non c’è solo quella biologica, c’è anche quella spirituale. Attraverso l’amicizia e la discepolanza molti possono riconoscermi come padre, come autorità per la loro vita, come aiuto per la loro crescita”.

Da questo punto di vista il ricordo di Tommaso Pedroli è illuminante: “Finita una vacanza estiva di studenti non c’era posto sul pullman del rientro. Un prete che conoscevo, don Roberto, mi offrì un passaggio sulla sua Punto grigia. Ci dirigemmo verso l’autostrada. A un certo svincolo però la macchina imboccò per un paesino di montagna. Arrivammo in una fattoria. E lì don Roberto comprò grossi speck e quattro bottiglie della grappa migliore che avevano. Arrivati in macchina mi diede i sacchetti in mano e disse: Questi sono per te e per gli amici della segreteria, perché mi avete aiutato: grazie per questi giorni”. O di rimbalzo il ricordo che a sua volta don Torti ha del giovane Ruben con un episodio quasi premonitore: “Ricordo che il giorno delle cresime Ruben era in sacrestia con i chierichetti. Il vescovo, monsignor Mascheroni, ausiliare di Milano, era lì a pregare e intanto guardava e studiava il modo con cui stava con i ragazzi. Poi venne da me e mi disse: Quello lì ha un dono particolare. Tienilo d’occhio”.

Ora tutti quei fili, sparsi per il mondo, si intrecciano sul pavimento di Santa Maria Maggiore. Proprio sotto il grande mosaico bizantino in cui Gesù incorona delicatamente Maria, i momenti del rito si svolgono lentamente: le preghiere in ginocchio davanti al Vangelo, le promesse nelle mani del cardinale, le consegne delle vesti, l’imposizione delle mani da parte delle decine di sacerdoti della Fraternità (ormai nel mondo sono centodieci): lunghi minuti che pur trascorrono in completo silenzio.

“Ogni anno chiediamo a un cardinale della curia romana – spiega don Camisasca – di presiedere alle ordinazioni per testimoniare la nostra vicinanza, il nostro affetto, la nostra gratitudine al Papa”. “Questa mattina – risponde il cardinale Koch – ho potuto essere ricevuto da Benedetto XVI, l’ho informato di quanto mi apprestavo a fare nel pomeriggio. Vi è vicino e prega per voi”.

“Siate per il mondo come Giovanni Battista – prosegue il cardinale –: l’indice di Dio puntato verso Cristo”. E l’indice oggi indica Taiwan, Santiago, Denver, Madrid, Roma: le città cui sono destinati i sei neo-sacerdoti. Chiesa universale, ma per due di loro i primi passi sono stati mossi all’ombra del campanile di San Vittore.

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