In che senso e in che misura la nomina di Roberto Maroni in Italia a nuovo leader della Lega Nord è la storica svolta di cui molti osservatori parlano e scrivono? Maroni è insieme a Bossi uno dei quattro co-fondatori del partito, del cui vertice non ha mai smesso di far parte. E di Bossi ha sempre condiviso tutte le tesi, tutte le strategie e anche tutte le tattiche finché questi, pur fiaccato dalle conseguenze di un grave attacco cardiaco, è riuscito a continuare a svolgere in modo incondizionato il proprio ruolo di capo carismatico. La silenziosa presa di distanze di Maroni da Bossi è iniziata solo quando le sue condizioni psico-fisiche sono peggiorate, e l’uomo ha finito di subire sempre di più l’influenza anche incongrua delle persone che lo assistono e dei loro referenti nella “macchina” della Lega. Perciò paradossalmente questo cambio della guardia per molti aspetti va visto più come un ritorno alle origini, in fondo come una restaurazione, che come una svolta.
Lo si è compreso chiaramente ascoltando il discorso d’investitura con cui il nuovo leader ha ribadito che il grande obiettivo della Lega Nord è “l’indipendenza della Padania” e ha lanciato l’idea di un abbandono del parlamento di Roma da parte dei parlamentari leghisti. Questo è un lato della medaglia; poi c’è l’altro, quello di Roberto Maroni ministro dell’Interno nel 1994-95 e poi nel 2008-11, e ministro del Lavoro dal 2001 al 2006. Nessun altro esponente politico del suo partito ha ricoperto a Roma cariche di tanto peso. Mentre altri leghisti, a partire da Bossi, sono arrivati per lo più ad avere degli evanescenti incarichi di ministri “senza portafoglio” (ovvero senza ministero), Bossi è stato a capo di due ministeri di grande peso.
Già quello del Lavoro e delle Politiche Sociali è un grosso ministero in termini di spesa amministrata, non foss’altro perché vi fa capo la gestione politica delle pensioni sociali, ma soprattutto è di cruciale importanza il ministero dell’Interno, da cui dipende la rete delle prefetture e dei prefetti nonché la Polizia di Stato, insieme ai Carabinieri una delle due più importanti delle ben cinque polizie ministeriali esistenti in Italia.
Per dare un’idea del peso del ministero dell’Interno basti dire che, per diversi decenni dall’istituzione nel 1946 della Repubblica Italiana, il presidente del Consiglio dei ministri, quello che oggi si usa chiamare il premier, non aveva a Roma un proprio palazzo. I suoi uffici erano ospitati nel Viminale, ossia appunto nel palazzo sede del ministero dell’Interno. Negli anni in cui è stato ministro dell’Interno, carica che peraltro ha ricoperto con ottimi risultati, Maroni ha maturato conoscenza, amicizie e spesso apprezzamento proprio in quella che è la chiave di volta del centralismo dello Stato italiano.
È quindi un vero Giano bifronte colui che ora tiene il timone della squassata nave della Lega Nord. Solo il futuro ci dirà come i suoi due volti interloquiranno tra loro. A monte di tutto questo però c’è un’incognita anche maggiore, ovvero la Lega stessa. Nessuno oggi può dire con ragionevole certezza che cosa ne rimane, e nessuno può prevedere quanto e come Maroni riuscirà a chiudere tutte le falle della nave leghista e a ricuperare se non tutti almeno un buon numero delle decine di migliaia di elettori che, stando ai sondaggi, l’hanno abbandonata.
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