Nei Paesi democratici occidentali si svolge annualmente il “gay pride” (recentemente a Torino), la festa dell’orgoglio omosessuale nata in America mezzo secolo fa per reagire ai soprusi e alle angherie cui era sottoposta la comunità gay.
Si tratta di una minoranza della popolazione che nell’antichità classica, greca e romana, ha fruito di una condizione di accettazione ma che nei secoli del Medioevo venne perseguitata e repressa e fino a qualche decennio fa era colpita dalla riprovazione popolare.
L’avvento della democrazia e delle idee liberali ha influenzato la legislazione dei Paesi civili ove è stato riconosciuto il pieno godimento dei diritti civili, anche se non sempre in linea di fatto a causa dei pregiudizi del passato.
Si può quindi capire la rivendicazione degli omosessuali di esprimere liberamente la tendenza che li accomuna e che la scienza ha riconosciuto come una variante anziché una degenerazione della sessualità.
Del resto anche la Chiesa Cattolica riconosce che non vi è colpa in una situazione oggettiva non perseguita con precisa volontà; non pochi sono i gay che cercano, spesso con grave sofferenza interiore, di perseverare nella loro fede in Gesù Cristo nonostante la fragilità della natura umana.
La condizione omosessuale è divenuta però “importante”, al di là delle dimensioni quantitative, per il prevalere di una cultura edonistica che la politica ha accolto a pieno titolo di fronte alla concreta difficoltà di realizzare il suo compito principale che è quello della giustizia sociale. La destra è naturalmente propensa ad accettare ogni forma di libertà come espressione “naturale”; la sinistra ha abbandonato la sempre più ardua “questione sociale” per inseguire il credo della moltiplicazione dei diritti a fronte della restrizione dei doveri.
Tutti i diritti universali, umani e civili, sono riconosciuti nelle società democratiche, dove però vi è la tendenza a promuovere come tali anche i desideri. Ma su quale valore si fondano i presunti diritti degli omosessuali e la loro richiesta di un riconoscimento pubblico universale?
L’enfasi posta dalle potenti lobby gay nel rivendicare la assoluta parità con gli etero-sessuali non ha più come motivazione l’esclusione e l’intolleranza ma l’equiparazione di comportamenti che sono oggettivamente diversi.
Le manifestazioni dei “gay pride”, con i travestimenti, le sfilate allegoriche, i (finti) matrimoni tra coppie omosessuali, hanno attirato svariate critiche (un politico di sinistra li ha definite “carnevalate”) e non giovano affatto alla causa che vogliono promuovere.
A differenza delle epoche precedenti in cui il sentimento dominante era quello della solidarietà, il nuovo secolo è dominato dal soggettivismo. Prevale il desiderio di autorealizzazione personale e i diritti o i desideri prevalgono di gran lunga sui doveri, la libertà non trova più un limite nella morale che invece di essere sottratta all’arbitrio umano lo persegue.
L’etica non è più un imperativo che sovrasta le persone ma è dettata dal proprio “io”: ciò che io desidero e voglio è legge sia per me che per gli altri. Il bene e il male sono relativizzati: è bene ciò che mi appaga e male il resto.
Anche la gente sembra apprezzare questa nuova impostazione: il soggettivismo viene associato alla spontaneità, alla autenticità; la persona è ben giudicata se è percepita come originale, creativa, anticonformista, simpatica. La “simpatia” è divenuta una delle categorie della politica: non importa se quel dirigente è onesto, capace, con una esperienza orientata al bene comune; basta che risulti gradevole, in sintonia con gli umori popolari, “nuovo”, creativo, originale, per ottenere il consenso della gente che poi quasi sempre si ricrede e va alla ricerca di altre “novità”.
Tra le attività umane che sono state profondamente plasmate da questa concezione vi è la sfera sessuale che è certamente tra gli aspetti più importanti della personalità. Al di là del dato oggettivo, “l’essere uomo o donna”, conta la percezione soggettiva, “il sentirsi uomo o donna”. Di qui la rivoluzione dell’omosessualità e della transessualità che in passato erano state fatte oggetto di riprovazione e di repressione.
Se è giusto che gli stili di vita conseguenti a tali condizioni trovino oggi tutela nella legge e rispetto nell’opinione pubblica, non è affatto ragionevole considerarli come dei modelli assimilabili con quelli di vita che da sempre l’umanità persegue. Se è stata opportuna la lotta degli omosessuali per riscattarsi dall’intolleranza e dal pregiudizio non è condivisibile l’enfasi posta nel pretendere il matrimonio tra coppie dello stesso sesso e l’affidamento dei bambini.
In nome della soggettività e della preferenzialità non si possono stravolgere dati oggettivi, differenze genetiche e somatiche. Parimenti severo deve essere il giudizio sulla pretesa di far assumere alla transessualità il rango di diritto con la conseguente possibilità di modificare e, in qualche caso, mutilare il proprio corpo, quali condizioni per esprimere la propria personalità.
Se nella vita tutto diventa soggettivo, relativo, equivalente, scompaiono i valori e il senso che ciascun vuol dare alla propria esperienza si trasforma in nichilismo.
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