Fu il pittore Bernardino Luini con una sua magnifica “Madonna col Bambino” a riconciliarci con le stranezze di Venceslao. L’allenatore e direttore sportivo della squadra nazionale dei marciatori cecoslovacchi non ci aveva mai nascosto le sue qualità di grande esperto (e buon bevitore) di birra e quel giorno decise di accompagnarci a quella che egli considerava la Mecca dei fabbricanti della bionda bevanda. Si doveva andare a Ceske Budejovice dove la birra, a giudizio del nostro ospite, era migliore di quella tanto celebrata di Pilsen e, ovviamente, di tutte quelle che si producevano quasi artigianalmente in ogni villaggio della Boemia e venivano consumate a chilometro zero. Cioè gli abitanti andavano a rifornirsi di birra per il consumo di famiglia riempiendo capaci secchielli di alluminio! Se non che fare oltre cento chilometri in automobile sotto il sole e su una strada con ampi tratti di fondo malmesso non ci aveva certo messi di buon umore. Per di più il pranzo consumato nella famosa birreria non era niente di eccezionale e la famosa birra al nostro palato di incompetenti non aveva dato segni di straordinarietà oltre all’essere servita a temperatura giusta e in boccali enormi, da un litro! Soltanto per essere sobri dovevamo evitare di scolare il boccale perchè, appena questo appariva vuotato, veniva immediatamente sostituito con uno pieno da cameriere rapide come falchi!
Per fortuna a qualche chilometro dalla città esisteva un castello che Venceslao ebbe la buona idea di farci visitare. Il castello di Hluboka. Una strana costruzione bianca in stile Tudor che non aveva niente del maniero ma di una buona residenza nobiliare. La visita effettuata calzando gli obbligatori pantofoloni di feltro per salvare i preziosi pavimenti, ci offrì la visione di un bellissimo arredamento e sopratutto di enormi vasi cinesi e di numerosi dipinti. Mi colpirono sopratutto un Canaletto, un Guardi e altri quadri di artisti minori tutti di soggetto veneziano. Si vedeva che il principe ausburghiano, antico proprietario, amava la nostra Venezia. Ma quelle opere le aveva pagate o erano frutto delle tante razzie che avevano depredato il nostro Paese? Mentre mi passava per la testa questo pensiero mi attrasse lo sguardo un “tondo” appeso ad un angolo, neppure ben illuminato. Un soggetto classico, una Madonna con Bambino eseguita in modo eccelso da suscitare una immediata intima commozione. Una doppia meraviglia, sia per la perfezione del dipinto sia per il soggetto, la Madonna, in una plaga dove il proselitismo della Riforma Luterana aveva largamente attecchito. Una sensazione ancora maggiore quando avvicinandomi al dipinto dalla targhetta conobbi il nome dell’autore: Bernardino Luini. Un pittore della nostra terra giunto fin qui. Un orgoglio per noi varesini, come se ne avessimo alcun merito.
La strada del ritorno a Praga ci offrì altre sorprese, una visita al castello di Konopiste. In mezzo a una foresta, in parte ancora salva, il castello era stato luogo di incontri tra regnanti di tutta Europa per lunghe partite di caccia. Un pretesto per ricercare alleanze, preparare guerre e magari combinare matrimoni tra i giovani eredi. Il tutto tra una fucilata e l’altra andata a buon segno lasciando il ricordo delle loro innocenti vittime documentato per noi posteri. In un modo incontrovertibile. Alle alte pareti di una lunghissima ampia galleria erano collocati i trofei di caccia. Da terra fino all’altezza di sei metri vi era tutto un addobbo di corna di cervi e di caprioli. Circa 150mila! Enormi castelli di corna che avevano coronato magnifici esemplari, esposti e “certificati” con targhette indicanti l’autore e la data del massacro delle vittime. Una riflessione amara sulla stupidità dell’uomo.
A Praga Venceslao Wagner, forse per farsi perdonare le sue nefandezze birraie, ci organizzò un incontro con un mito dell’atletica leggera, Emil Zatopeck, il fondista che nella stessa Olimpiade seppe conquistare tutte le tre medaglie d’oro delle corse dei cinquemila, diecimila e della maratona. Ci ricevette nel suo ufficio nel palazzo del Comitato olimpico nazionale. Un incontro cordiale e amichevole. Qualche riferimento a gare disputate in Italia e molto amore verso il nostro Paese. Il cosiddetto “uomo cavallo” per la sua resistenza fisica e il suo strano, inconfondibile stile di corsa, con le mani costantemente premute al petto, ci apparve un umano del tutto normale, nell’altezza media e nella magrezza. E sopratutto nei ragionamenti. Il Venceslao riuscì anche a farlo sorridere.
Nei giorni successivi dovemmo organizzare le visite agli altri amici marciatori Zavadsky e Stransky abitanti l’uno nella lontana Ostrawa e l’altro in un paesino del centro boemo. L’uno minatore e l’altro dirigente in una industria tessile. Visitammo così anche sperduti luoghi della regione ma il tutto ci permise altre piacevoli scoperte. Per esempio le sorgenti del fiume Elba (il Labe, per i cechi) e soprattutto la zona termale più conosciuta in campo internazionale quella di Karlovy Vary (la Karls Bad dei tedeschi) e quella di Marianskye Laznè (la Marien Bad tedesca). Luoghi nei tempi passati frequentati dalla nobiltà e dalla grande borghesia europea che andava “a passare le acque”.
Quando si cominciò a parlare di questo viaggio i nostri amici scherzando ci dicevano: “Ah, ah, andate alla tredicesima fonte…”. Il richiamo a questa misteriosa tredicesima fonte era assai ripetuto tanto da crearci qualche sospetto. Eppure si trattava di luoghi se non già vissuti, almeno noti alle nostre orecchie. Alain Resnais vi aveva diretto un suo film “L’anno scorso a Marien Bad” e Karlovy Vary era sede riconosciuta di un festival internazionale del cinema. Andandoci scoprimmo luoghi sicuramente attraenti. Le terme di Marianskye Laznè circondate da grandi giardini le immaginavamo popolate di belle signore in crinoline a passeggio con l’ombrellino parasole. Assai diversa Karlovy Vary una bella cittadina ristretta tra piccole gole con piazze ricche di fontane zampillanti acque calde con getti alti anche una diecina di metri.
Nel parco delle terme scoprimmo la passeggiata delle fonti. Una lunga galleria in classico Liberty, aperta lateralmente all’ambiente ma in alto coperta in vetro a proteggere la lunga sequenza delle sorgenti. Si trattava di una sequenza di fontanelle poste alla distanza di pochi diecine di metri l’una dall’altra, ognuna indicata con la temperatura delle sue acque. Temperature robuste segnalate tra i trenta e gli oltre sessanta gradi. Fin qui nulla di eccezionale. La curiosità stava nell’assunzione di quei liquidi ai fini terapeutici. Un rito. Ogni frequentatore aveva con sé un panciuto contenitore, proprio lì noleggiato, munito di un beccuccio. Una specie di nostra caffettiera. Se non che il beccuccio non serviva per versare il liquido bensì per succhiare… Riempita la tazza il “paziente” incominciava a suggere l’acqua e lentamente passeggiando, o dopo aver fatto qualche sosta in panchina, si avviava verso la fonte successiva. L’operazione si ripeteva più o meno eguale per ben dodici fontanelle. (Noi, detto tra parentesi, abbiano bigiato da alcune fonti… ). Interessante lo studio del comportamento dei personaggi, più o meno assorti in astrusi pensieri o esercizi spirituali. Poi tutta la strana atmosfera si dissolve dopo la dodicesima fonte. L’ultima. Ci si trova al termina della galleria davanti al bancone di un bar molto fornito di Bekerovka, uno storico conosciutissimo liquore di erbe prodotto già in Boemia agli inizi dell’ottocento. Ecco la celebrata tredicesima fonte! Assai frequentata per consumare, oltre al classico liquore, calde cialde e pasticcini.
Non abbiamo mai frequentato le terme di Montecatini o di Chianciano. Ma ci è stato detto che in passato molti frequentatori si comportavano come quelli della “tredicesima fonte” scolando, dopo le acque, del buon Chianti o dell’ottimo bianco Orvieto. Per confermare il detto che tutto il mondo è paese.
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