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Storia

COME ERANO I BOSINI DOCG

FERNANDO COVA - 07/07/2012

Varese nel 1833, litografia di Gandini

Quale carattere avevano i varesini “da scépa spòtiga busina” nel 1837?

Lo apprendiamo da un libro di Carlo Castiglioni: “Amore delle cose nuove e sorprendenti, curiosità di sapere, fasto delle proprie cose, gelosia del proprio diritto, cura di piacere, premura di ospitalità,

contentezza del poco, qualche indolenza dei propri affari e trascuratezza degli studj formano le note caratteristiche dei popoli di questa Città e Circondario, i quali d’altronde sono lontani dal litigio, dall’inganno, dalla immoralità, e dalla milizia”.

Notiamo che la popolazione è curiosa ed aperta alle novità, gelosa dei diritti comunali acquisiti nei secoli, ospitale non fosse altro perché dedita ai commerci. In “contentezza del poco” leggerei la proverbiale “taccagneria”, più portata al commercio che agli studi. Note positive sono la poca litigiosità e l’onestà, la moralità e non essere dediti alla armi.

L’autore della descrizione é il sacerdote Carlo Castiglioni che apparteneva alla nobile famiglia di Carnago; era sacerdote in san Vittore a Varese e insegnava, quale professore, nelle scuole cittadine.

Era cultore di storia locale, sunteggiò la cronaca Marliani e pubblicò nel 1837, presso Giuseppe Rainoldi, una “Storia fisica e politica della città di Varese e terre adiacenti” firmandosi P.C.C. dedicandolo all’amico G.A.C. (il maestro Giovanni Antonio Colombo ).

Nella prefazione annuncia che questo breve scritto, sessantotto pagine, avrebbe dovuto “essere una parte di un tutto che verrà seguito con nomi di topografia e memorie storiche” ma il seguito non fu mai pubblicato. Nell’ultima pagina aggiunge un invito ai varesini “ Prego chi avesse notizie pubbliche o private che riguardino la Storia di Varese o dell’antico Seprio a volerle dirigere qualora brami illustrare la patria o famiglia, alla Tipografia Rainoldi in Varese, con promettere di farne di esse buon’uso e di citarne con riconocienza gli autori”.

Voglio ricordare che la nota “tirchieria” dei Varesini è registrata sia dal Cherubini che dal Banfi. Quest’ultimo registra: Varesada = scirpiada = v. pioggiada = pioeggiaria = Pidocchieria;

Il Cherubini, allineato, ci segnala: Varesada = scirpiada dicesi anche pioggiada = pidoccheria / taccagneria / grettezza.

Mezzo secolo dopo il Dossi descriveva il commercio a Varese in maniera poco lusinghiera:

“ A Vares tutt cala de pes”. Entrate in un confettiere, vi daranno dolci stantii, paste rafferme: in un caffé, birra brusca; in un droghiere, zucchero e caffé avariati. L’orologiajo troverà una ruota di più nel vostro orologio: lo stagnajo per attaccare il manico della vostra padella vi bucherà il fondo. Dapertutto sta scritto “Nouveautès de Paris” ma il cartello é già tarmato e tutto cacature di mosche…” . Passati i tempi come nel 1756, quando un componimento poetico, contenuto nella cronaca Marliani, celebrava le delizie delle nostre zone ed era intitolato “Grand Vares”.

Per i commercianti poco onesti esistevano anche detti popolari, per i ciabattini: “Orgna, bisorgna, soela de carton, tomera de palpée (carta), gran sciavatin per robà danée”; per i salumieri che abbondavano sulla tara: “Frasch e palpée hinn l’ajiutt del cervellée”.

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