Se non fosse che il Bobo Maroni è nato a Lozza, nel territorio varesino, e che s’è caricato sulle sue sole spalle tutto il peso della guida delle “armate” leghiste, che avevano disceso le nostre valli con tanta orgogliosa sicurezza, forse non meriterebbe più parlarne, o parlarne poco. Idem dicasi per il Bossi, il capo con il fisico fiaccato dalle battaglie e ormai stanco.
Ma il problema, come si diceva alle assemblee studentesche di una volta, è squisitamente politico. E cioè riguarda nei fatti e nelle proposte il futuro tracciato del Carroccio al congresso di Assago; tutte le altre considerazioni lasciano il tempo che trovano: fanno colore sulle pagine di giornali, fanno sentimento, fanno anche scorrere qualche inutile lacrima sui visi dei padri antichi.
Nei fatti, vent’anni dopo, l’obiettivo leghista non s’è mosso di un millimetro. Le parole d’ordine sono le solite: rivolta del Nord, secessione, distacco da Roma ecc. ecc. Si pensa che si possa rinnovare un programma rifacendolo tal quale esso era alla fine degli anni Ottanta, primi dei Novanta, del secolo scorso. Un po’ poco, in verità.
Il Bobo, che nel frattempo nella “Roma ladrona” è stato con Berlusconi ministro del lavoro e (per due volte) ministro dell’interno, ovvero uno dei tre, quattro uomini più potenti dello stato (italiano), queste cose le sa bene. E quando il Bossi, papà o fratello maggiore che sia, parafrasando in modo un po’ bignaminesco l’apologo di re Salomone maestro di giustizia, gli dice solenne e commosso: “Il bambino è tuo!”, si dimentica che il bambino intanto è cresciuto, che ha quasi trent’anni, che ha avuto tutto il tempo per completare un ciclo di studi regolare e per trovarsi un lavoro. Sempreché il lavoro ci sia.
Al di là del successo assaghese di Maroni e della sua conclamata nomina a segretario federale, nomina che in questo momento politico gli conferisce il titolo di “padrone della Lega”, sono da guardare con attenzione le posizioni dei leghisti veneti: del governatore Zaia, per esempio, o anche del sindaco di Verona Flavio Tosi. Non sono figure di contorno, ma protagonisti. E non a caso i loro interventi, tolto il tradizionale condimento di retorica, sono improntati alla concretezza del fare. Nel tetro panorama entro il quale si sta muovendo il premier Monti – il più nero (lo dicono gli industriali) dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi – appaiono quanto meno inattuali certe indicazioni (citiamo le più politiche) quali il ritorno alla Lira o la protesta organizzata contro l’IMU (guarda caso, proprio il giorno prima della scadenza del pagamento, pena altre sovrattasse) o il ripensare a una battaglia solitaria (per che cosa?) condotta nelle ridotte nordiste, meglio senza quei risibili accenni ai milioni di baionette, mai esistite.
I leghisti veneti, che stanno studiando da generali, sono peraltro del tutto svincolati dai giochi di basso potere che finora hanno condizionato – anche Maroni – le situazioni locali, con quei cerchi magici assimilabili più alle corti di rami collaterali dei Borgia che a sedi di governo.
Le battute, le trovate spettacolari non servono più. Soprattutto non convincono. Come quelle degli ipotetici complotti dei servizi segreti (ma i servizi, in qualche modo, non sono collegati al ministero dell’interno?). Si guarda al sodo. E senza andare lontani, guardiamo anche alla nostra piccola città.
Non sappiamo se l’altra sera il nostro sindaco Fontana se ne sia accorto, ma alla sua battuta – prendiamola così – pronunciata in piazza del Podestà in occasione del Festival varesino del cinema, secondo la quale il confine della Svizzera si dovrebbe “spostare più in giù”, non ha riso nessuno: brutto cinema. E come ridere se dopo vent’anni – diconsi venti al 13 dicembre prossimo – di governo leghista all’ombra del Bernascone, non si sono visti significativi passi in avanti, se non quelli del tempo che inesorabilmente trascorre?
Di alcuni slogan elettorali del passato, pubblicati su depliant inviati nelle case, ricordiamo – solo per citare – quello del lago di Varese che era ritornato a essere balneabile. Ricordiamo l’entusiasmo per la funicolare del Sacro Monte (Bobo Maroni s’era detto pronto a ripristinare, senza dire però con quali soldi, anche il tracciato del Campo dei Fiori…). Rammentiamo le sponsorizzazioni della Bossi-Family nei confronti del candidato sindaco Aldo Fumagalli, oggi altrove affaccendato…
Il futuro della Lega non è roseo. Il neo-segretario Maroni, che non è affatto persona con la testa per aria, ne è conscio. E sa che il problema è… politico. E non riguarda la mera sopravvivenza. Altrimenti si scompare a breve.
Una grossa verità, al congresso di Assago, l’ha detta un delegato dell’Emilia Romagna, una delle regioni in cui la Lega un tempo si andava espandendo: “Quando vado dalla gente per chiedere il voto e gli dico che sono un fan della Lega e di Bossi, mi guardano e gli viene da ridere…”…
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