Gesù amava talora isolarsi dalla folla: specie quando volevano farlo re. Oppure lasciare la città per ritirarsi nel deserto in digiuno e preghiera, come per la Quaresima. Ma dopo questo temporaneo stacco, ritornava più preparato dentro i problemi della sua città.
Anche Gesù ha fatto esperienza del deserto lontano dalla città, è stato sul monte Tabor, ma non vi si è fermato come desiderava Pietro.
Amava il tempio della natura, la preghiera solitaria in cima al monte o in riva al mare, ma più ancora frequentava il Tempio di Gerusalemme in cui era racchiusa la storia del suo popolo.
Se Gesù venisse tra noi, ci direbbe: “Non lasciatevi tentare dalla fuga, ma lasciatevi conquistare dalla passione di creare, inventare, stabilire nuovi rapporti, far circolare in essi la passione per la casa del Signore e le case degli uomini”.
E anche: “Amate la vostra città, crocevia di molteplici destini, laboratorio per la costruzione del Regno di Dio. La città ha una sua anima e un suo destino: non è un mucchio di pietre, ma è misteriosa abitazione di uomini, anzi è abitazione misteriosa di Dio”.
Anche noi oggi siamo chiamati ad essere discepoli di un Gesù Maestro che entra in città e non se ne sta fuori, appartato, estraneo, indifferente, ma si lascia coinvolgere con passione nelle sue vicende e ne diventa il Salvatore.
Ritornare in città ha significato per Gesù anche vivere fino in fondo questa sua passione per il Signore e per gli altri, come racconta il Vangelo della Passione.
Un particolare significativo della sua ultima Pasqua è il gesto di una donna che, nella casa che lo ospita alla vigilia della sua morte, esprime i segni del suo gratuito e libero amore direttamente a lui, rompendo il vaso di alabastro, versandone il profumo sul suo capo e attirandosi le critiche dei presenti.
È spesso ricorrente l’atteggiamento di chi giudica uno spreco di tempo e di denaro la festa, le celebrazioni liturgiche come quelle della Settimana Santa. È la paura che fare festa e pregare significa poi fare luce, chiarezza, messa in ordine della settimana e magari di una stagione convulsa della vita familiare e sociale.
La donna del Vangelo è la figura del nostro essere Chiesa, comunità cristiana, che professa in pubblico la sua fede nel Signore, prega la domenica, sa fare festa, e al tempo stesso è attenta ai poveri che abitano tra la sua gente. [233-dE]
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