Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Economia

VARESE, I DAZI: E ADESSO?

SANDRO FRIGERIO - 11/04/2025

daziE adesso che si fa? Per le imprese della provincia di Varese il 2024 è stato un anno negativo per l’esportazione, al punto da far registrare performance tra le peggiori in Italia, con un calo del 7,2%, quando l’export nazionale in valore è sceso solo dello 0,4% e quello regionale è anzi un po’ cresciuto. Ma non è tutto: se la marcia indietro dell’economia tedesca è stata a lungo sotto i riflettori, per l’export verso la Germania a livello nazionale alla fine il calo è stato del 3,7%, significativo ma non troppo pesante, pari a quello verso gli Usa. Per la provincia di Varese invece più che l’oltre-Reno è stato l’oltre-Atlantico a deludere: da queste parti, infatti, la flessione delle vendite è stata del 4,8% verso Germania, che si conferma principale partner provinciale, ma ha toccato un pesantissimo -22,8% verso gli Stati Uniti, terzo mercato di sbocco, con il 7,4% del totale.

È probabile che nelle vendite verso l’altra sponda dell’Atlantico abbiano pesato gli ordini in calo nel settore aerospaziale (leggi elicotteri) che, molto significativi nel 2023 e non si sono ripetuti allo stesso livello nel 2024. La scoppola comunque resta e ora la “muraglia dei dazi” annunciata da Trump rischia di trasformare una ritirata in una disfatta. Quanto ci si deve preoccupare? In Confindustria Varese la cosa non è affatto presa sottogamba. Mentre il ministro all’economia, il varesino Giorgetti si allinea con la prudenza / imbarazzo della premier e alle dichiarazioni del suo partito (la Lega) a ”non drammatizzare – non premere il pulsante panico”, Il presidente di Confindustria Varese Roberto Grassi, che è anche vicepresidente del Sistema Moda Italia, senza mezzi termini avverte: “Sui dazi non tutti i partiti si rendono conto della gravità della situazione”.

A spiegare le cose con un’analisi accurata è Paola Margnini, responsabile del Centro studi degli industriali locali che nell’edizione online della rivista confindustriale Varese Focus afferma chiaramente: con i dazi annunciati “viene infranto un tabu, che contiene una filosofia di collaborazione e di superamento della conflittualità, che ha caratterizzato gli ultimi 80 anni di crescita economica ed ha permesso l’ampliamento della platea dei paesi sviluppati in una logica democratica“.

E c’è di peggio: in termini economici, dice la responsabile del Centro Studi, “Trump afferma che l’ “America First” è un concetto che vuole praticare in solitaria. Una affermazione del principio della supremazia versus quello della collegialità”. Quanto alle previsioni, spiega, occorrerà vedere come in effetti saranno calcolati questi dazi, perché il 20% (25% per le auto) attribuito alle importazioni europee, potrebbe risultare anche maggiore in funzione dell’origine di quelle stesse produzioni, dato che la “catena del valore” potrebbe risalire anche a paesi subfornitori con aliquote più alte. Insomma: domina l’incertezza.

Se andiamo a vedere i numeri, il quadro potrebbe in realtà essere un po’ meno pesante per quanto riguarda Varese. Ma questa non è propriamente una buona notizia. In primo luogo, perché questa provincia da parecchio ha perso parecchio del suo smalto nel panorama dell’export nazionale. Sono lontani i tempi in cui Varese era nella “top 10” italiana. Ora è solo la 17esima provincia esportatrice, il che per un’economia largamente manifatturiera non è esattamente un bel risultato. Gli esperti possono anche discutere su quanto del “made in Varese” realizzato da parte di gruppi che hanno magari la sede legale altrove sia effettivamente conteggiato nell’export varesino e non finisca in quello milanese o romano, ma il segno è chiaro.

Il secondo motivo è che con 11,7 miliardi di euro, Varese contribuisce per meno del 2% all’export nazionale e solo per l’ 1,2% dell’export italiano verso gli Stati Uniti (860 milioni su su 73 miliardi). Insomma, non sarà l’industria varesina tra le maggiori vittime dei superdazi Usa: magra consolazione.

È vero che vale il solito aforisma del pollo di Trilussa, secondo cui le medie non tengono sempre conto di chi mangia due cosce e di chi il pollo non lo vede nemmeno in fotografia. Tuttavia, se le ridotte dimensioni medie dell’industria locale e il forte carattere “terzista” non fanno di Varese un gigante dell’export, ci sono settori in particolare della meccanica, in cui questo rappresenta i quattro quinti del fatturato.

La diversificazione su altri mercati sarà quindi una strada privilegiata. Nello stesso tempo, potrebbero riorganizzarsi le filiere produttive, perché soprattutto nei grandi gruppi sarà fondamentale capire come e dove produrre. Prendiamo Leonardo: gli Usa sono un grosso mercato, con 3,2 miliardi di dollari, pari al il 27% del fatturato 2023, ma questo anche perché il gruppo è largamente presente negli States, dove produce elicotteri come l’AW 139, e ha da tempo acquistato la DRS, azienda specializzata nell’elettronica militare. A proposito: la sigla AW ci ricorda che Agusta-Westland, cioè il polo elicotteristico basato a Cascina Costa, ha in Gran Bretagna una delle sue gambe e lì i dazi Usa sono solo il 10%, metà rispetto a quelli riservati all’EU che Trump ha apertamente chiamato “un nemico” (“foe”).

Altra grande azienda varesina è la Bticino, che appartiene al gruppo francese Legrand, il quale negli Usa ha diverse sedi produttive (e per il vero ne ha anche in Messico, proprio col marchio Bticino). Altra varesina che ha una gamba, anche se piccolina, negli Usa, è la Atos di Sesto Calende, con 750 dipendenti e 170 milioni di fatturato, con cinque siti produttivi in Italia e tre nel mondo, tra cui uno, anche se solo con 30 addetti, in Pennsylvania, negli Usa. Aggiungiamo la ILLVA, della vasta famiglia Reina, un leader negli alcolici con un fatturato di 352 milioni nel 2023, che recentemente ha acquistato la Sagamore Spirit, con sede a Baltimora. In questo caso, però, non è così scontato che, dazi o non dazi, un noto produttore di whisky a stelle e strisce possa mettersi a produrre l’amaretto definito “il liquore italiano più venduto nel mondo”. Soprattutto se questo da qualche anno ha assunto ufficialmente il nome…. Disaronno.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login