Tanto tuonò che piovve. Dopo anni in cui se ne parla, Varese ha il suo Famedio. Il consiglio comunale sabato 22 marzo ha “consacrato” l’elenco dei primi 35 nominativi (34 le nomine ma una è doppia: quella dei gemelli Castiglioni) che vengono indicati come “benemeriti” per il ricordo dei varesini. Una città probabilmente dai confini troppo piccoli per descrivere realmente le sue “relazioni urbane” (tema che sarebbe bene affrontare una volta per tutte nella lunga gestazione del PGT, il Piano della Gestione del Territorio) ha indicato il primo gruppo che sarà iscritto nel Cimitero centrale. Potremmo dire in termini numerici militari, il primo plotone di un reggimento che si annuncia più corposo. Inevitabilmente, ogni selezione dà e darà luogo a critiche e malumori, attutiti dalla promessa ripetuta a Palazzo Estense (e confermata dal sindaco Galimberti a RMFonline.it) che altri nomi si aggiungeranno presto. Per ora cogliamo anche il bicchiere pieno di una serenità di confronto tra i partiti che è stata encomiabile, uno stile che sarebbe bene vedere almeno in parte anche su altri temi in un consiglio comunale che negli ultimi temi è stato fin troppo prodigo anche di ripicche e piccinerie.
Un quadro positivo, non solo per l’unanimità dei 25 voti su 25 dei 36 che compongono l’assemblea di Palazzo Estense (la collocazione nel week end e il breve preavviso di convocazione non hanno giovato alle presenze in una sala pur piena di pubblico) ma anche e soprattutto per il tono che maggioranza e opposizione si sono riservati. Un tono civile, poche le sgrammaticature negli interventi dei consiglieri (tipo quella, pur con toni soft, a proposito della nomina di Bobo Maroni, all’insegna del “Bene la sua scelta, ma a condizione che sia un primo passo per altri riconoscimenti”) e grande il rispetto reciproco, con frequenti applausi bi-partisan. Frutto evidentemente anche di un egregio lavoro nella “commissione nomine” guidata da Francesca Strazzi e dell’equilibrio / bilanciamento (“bilancino” secondo alcuni osservatori) con cui sono state presentate le nomine. La consigliera della lista Praticittà è un po’ l’”ambasciatrice” della maggioranza galimbertiana, perché è delegata del sindaco per diverse materie tra cui la “promozione della partecipazione e del confronto con le diverse forze politiche ed istituzioni”.
L’elenco dei 35, hanno spiegato sia Strazzi sia il sindaco Galimberti, non è una “selezione” ma una sorta di “primo atto”, perché le candidature prese in considerazione sono state ben più numerose, circa 130, e tutte considerate meritevoli. Per evitare il rischio di “strafare” e valorizzare i singoli nomi si è tuttavia preferito partire con questo “primo lotto”. Altri seguiranno nei prossimi anni e anzi mesi. Criteri di qualificazione: persone decedute dal 1961 in poi, anno del centenario dell’unità d’Italia, nascita o residenza a Varese, oppure servizi resi alla città.
Ci guardiamo bene in questa sede di fare valutazioni “di merito” su questa o quella scelta, anche se qualche osservazione di metodo può essere fatta alla luce dei criteri annunciati. Per esempio, sono stati insigniti entrambi i fratelli antropologi Alfredo e Angelo Castiglioni, ma è stata premiata Franca Rame, che a Varese visse da ragazza (a Biumo) e non l’ancor più blasonato marito Dario Fo, premio Nobel. Forse perché plausibilmente a Luino avrebbero reagito con un ruggito allo “scippo varesino”. Né particolarmente “varesino” sembra un altro “mostro sacro” di caratura internazionale come Ottavio Missoni, giustamente identificato con Sumirago, così come il nome di Alfredo Binda è indissolubilmente legato a Cittiglio. Del resto, come si faceva a insignire Luigi Ganna (nativo di Induno ma deceduto a Varese dove aveva anche fondato una brillante attività industriale) e non il collega Binda?
Nel primo gruppo del Famedio figurano ex amministratori pubblici di grande spessore come Lanciotto Gigli (1880-1968), il commercialista assessore della giunta di sinistra del dopoguerra cui si deve l’acquisizione del parco di Villa Mirabello, e il sindaco Lino Oldrini (1907-1964) nonché Angelo Monti (1932-2023), il “sindaco dei 14 giorni” quando Varese venne travolta dall’edizione locale del ciclone Mani Pulite e il “Monello della Motta” prese sulle spalle la croce della città. Ed è stato insignito Ambrogio Vaghi (1927-2022), lo “storico” capogruppo del Pci a cavallo degli anni ’70. Solo che Vaghi era l’ideale contraltare del sindaco democristiano Mario Ossola. Erano due professionisti con i fiocchi (Vaghi dirigente del movimento cooperativo, Ossola medico della sanità pubblica) prestati lungamente alla politica, entrambi con un passato attivo da partigiano, protagonisti degli anni in cui Varese “volava”, con tutti i problemi che un’amministrazione doveva affrontare in quelle condizioni, come il record nazionale di aumento della popolazione, per effetto dell’immigrazione (quella dal Sud), con conseguenze su scuole, asili, edilizia, servizi.
Insomma, Vaghi e Ossola, sindaco per 14 anni (“il miglior sindaco della città”, secondo uno non facile agli elogi come Mauro della Porta Raffo) erano i nostri Peppone e don Camillo, non per il carattere tutt’altro che sanguigno, ma per l’impegno e la competenza. Sarebbe stato il caso di ricordarli insieme perché pur su posizioni chiaramente distanti, il rispetto reciproco e la collaborazione attorno a valori fondamentali furono il tratto che li accomunava in anni irripetibili per la città. Se vi è stato un vuoto di memoria generazionale, è un’occasione per ricordare anni in cui a Varese economia, sviluppo demografico e sociale, successi sportivi, tessuto d’imprese e voglia di fare si davano la mano.
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