A Monfalcone, centro costiero friulano di circa 30 mila abitanti noto per i suoi cantieri navali, il 13 e 14 aprile prossimi sono in programma le elezioni comunali. Ad esse è stato annunciato che si presenterà tra gli altri come candidato sindaco Bou Konate, un leader della comunità islamica locale.
Pro Italia Cristiana — un sito a cura di Federico Catani – in un suo recente comunicato ha lanciato perciò una petizione “indirizzata al Presidente del Consiglio Comunale di Monfalcone, Ciro Del Pizzo, per chiedergli di fare tutto ciò che è in suo potere per fermare questa deriva e impedire che in futuro situazioni simili si ripetano in Italia”.
In effetti non si capisce che cosa potrebbe fare in proposito il presidente del Consiglio comunale, se non in quanto elettore votare personalmente per un candidato diverso da Bou Konate; che è poi la stessa cosa che potrà fare chiunque andrà a votare per il nuovo sindaco di Monfalcone.
Pro Italia Cristiana lamenta che a Monfalcone, “l’80% degli abitanti stranieri è di fede musulmana. Il 65% degli studenti nelle scuole è straniero. Il 75% delle donne musulmane indossa il velo, molte con il volto coperto. Le strade un tempo italiane sono ormai dominate da suoni, odori e negozi che rispecchiano un’altra cultura. I numeri parlano chiaro: nel 2022 sono nati più bambini stranieri che italiani e la popolazione autoctona è in costante calo”.
Sarà vero, osservo per parte mia, ma che cosa c’entra con tutto questo l’eventualità che il prossimo sindaco di Monfalcone sia musulmano? Dipende forse da lui se nella città nascono più bambini figli di stranieri che di italiani e se nella città il grosso degli stranieri e dei cittadini di origine straniera è musulmano? E se i suoni, gli odori e i negozi non sono più quelli oggi soliti in Italia il Comune può farci qualcosa?
Secondo Pro Italia Cristiana, Bou Konate sarebbe invece niente meno che “il simbolo di un processo di islamizzazione silenziosa ma inarrestabile. La sua candidatura non è un normale atto democratico, ma un test per vedere fino a che punto l’Italia è disposta a cedere la propria identità”.
Tralascio qui di soffermarmi sulla contraddizione insita in quell’”inarrestabile”, che di per sé vanificherebbe tutto il ragionamento di Pro Italia Cristiana. Se infatti un processo è inarrestabile perciò stesso non c’è niente da fare.
Prendo piuttosto la notizia come spunto per mettere in luce che cosa non condivido, e invito a non condividere, in posizioni come quella di Pro Italia Cristiana (che vedo con preoccupazione trovare spesso ascolto anche in ambienti ecclesiali): e cioè che in sostanza è al potere, alla politica, ai carabinieri che si deve chiedere, e da cui ci si deve attendere, la tutela dell’esperienza cristiana nel nostro Paese. Viceversa il cristianesimo è un’esperienza personale e comunitaria che perciò ha poi riflessi anche sociali e politici, ma non origina e non dipende dalla politica; né da essa ha mai preso le mosse se non con esiti disastrosi.
Non è dunque alla politica e al potere, ma alla società civile che si devono porre le questioni sollevate da Pro Italia Cristiana. Ed è da realtà come la Chiesa, le comunità, le famiglie, le persone che devono venire le risposte. Sono loro, e non il Comune, la politica e le istituzioni, che si devono domandare perché gli autoctoni di tradizione cristiana di Monfalcone — essendo per lo più poco attenti alla loro identità e facendo tra l’altro meno figli degli immigrati di tradizione musulmana — stanno scegliendo di lasciare la loro città ad altri. E ciò vale ovviamente anche per ogni altro luogo in Italia e in Europa in cui sta accadendo lo stesso.
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