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Opinioni

AMARO RISVEGLIO

ALFIO FRANCO VINCI - 21/03/2025

strageHo ancora negli occhi e nella mente l’arrivo degli esuli istriani, dopo la riconsegna di Trieste all’Italia ed il contestuale definitivo abbandono al suo destino dell’Istria.
Per quanto sinceramente e amorevolmente li accogliessimo nelle scuole, negli oratori, nei gruppi di amici, nei loro occhi c’era sempre la tristezza e la paura, per quanto visto e subito, e la nostalgia per la patria lontana.
Nostalgia è una parola di origine greca (nostos: ritorno a casa, e algos, dolore) che descrive lo stato d’animo di chi ha la consapevolezza, e quindi il dolore, che non tornerà mai più a casa propria, o non rivedrà mai più un posto od una persona cara, magari gettata a marcire in una foiba, o, come in Ucraina, in gigantesche fosse comuni, se non lasciato a marcire ai bordi delle strade.
Assisto impotente e incazzato a quanto si sta consumando sulla pelle degli ucraini, specie delle zone già occupate dai russi, dove hanno conosciuto ogni possibile orrore, dagli stupri alle torture alle stragi di massa, destinati, se tutto va bene ad essere esuli, o peggio, prigionieri nella loro terra con qualche bel muro “made in Mosca”, secondo la migliore tradizione russa.
La storia non ci ha insegnato niente, se non la memoria (e non la saggezza alla quale non credo) dei popoli e delle genti.
Per ottanta anni ci siamo riempiti la bocca di belle parole quali pace, amicizia fra i popoli, fratellanza, inclusione, collaborazione, convinti di avere le spalle coperte, e questi sono i risultati.
Abbiamo cancellato la memoria dei popoli e dei i detti dialettali; nel caso in specie: “cu’ si fa pecora u lupu si la mangia”.
Siamo stati convinti che queste greggi di pecore che compongono l’Europa, senza essere un unico popolo, avrebbero sempre potuto contare sull’occhio vigile del pastore di oltreoceano, pronto a scatenare i suoi ferocissimi cani in divisa da marines, per difendere le pecore europee.
Convinti che non avremmo mai dovuto impugnare le armi, nemmeno per difenderci, abbiamo smantellato le nostre strutture difensive.
Di quattro Corpi d’Armata ne è rimasto solo uno, sotto dimensionato.
Tutto l’arco alpino, dal quale eravamo convinti che non sarebbe più potuto arrivare lo straniero, è completamente sguarnito e le caserme degli alpini sono state chiuse o vendute.
Da 25 anni non abbiamo più la leva, e si vede anche dalla dilagante deboscia fra i giovani, e le ultime due generazioni di italiani non sanno nemmeno come è fatto un fucile.
Tutte le risorse sono state destinate ad un welfare oltre i limiti dello sperpero e, come dice il grande Benigni, ai piedi dell’albero della cuccagna, è stato tutto un “ magna magna”.
Oggi ci risvegliamo da questo lungo sogno e, di fronte alla nuova realtà dell’ “aiutati che Dio t’aiuta”, scopriamo che dopo il sogno con una coperta a stelle e strisce ben rimboccata, c’è la realtà di un incubo dei peggiori.
Siamo inermi. Dobbiamo ricostituire le nostre difese che valgano, non ad aggredire, ma a fungere da deterrente per eventuali aggressori o quanto meno ad opporre una decorosa ed onorevole resistenza.
La partita è aperta. I 27 Stati membri si sono pronunciati e fortunatamente non hanno stabilito di attendere una riforma dei trattati per dare il via alla formazione di un unico esercito o meglio di una forza europea unificata, nonostante la vergognosa pantomima dei rappresentanti italiani.
Forse molti dei votanti avranno trascorso qualche vacanza in Sicilia e avranno imparato un detto che gli è servito da monito nel fare subito qualcosa, perché: “mentre u’mericu sturia, u’malatu si ni va”.

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