L’annuncio del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sull’inclusione delle Sacre Scritture nei programmi scolastici dal 2026/2027 soddisfa intellettuali credenti e laici che attendevano la realizzazione di un sogno, ma soprattutto fornirà strumenti culturali, storico-critici e magari anche spirituali ai giovani studenti.
Inutile dire che saranno decisive le modalità di lettura e di metodo con cui ci si accosterà alla Bibbia, non solo per dipanare la complessità dei suoi contenuti, ma anche per evitare di suscitare prevedibili disapprovazioni. Un approccio confessionale a scuola non gioverebbe, anzi, rischierebbe di generare soltanto critiche e di vanificare i propositi di un progetto utile, se non necessario. Detto ciò, nulla impedisce di approfondire il versante spirituale o di accostarsi alla meditazione della Parola, ma per chi intenderà seguire questa strada sarà meglio farsi accompagnare da un sacerdote o da iniziative promosse dalle chiese locali o dalle parrocchie.
Dalla scuola ci si aspetta altro. Anzitutto che metta a disposizione insegnanti adeguatamente formati, in grado di contestualizzare i testi per evitare letture fuorvianti; inoltre, che rifletta sulla costruzione di percorsi multidisciplinari che consentano di evidenziare il debito contratto dalla nostra cultura letteraria e artistica nei confronti della Bibbia.
Questo aspetto storico-critico, che si avvicina anche alla pratica filologica, ben inteso, nella sua accezione più blanda, consentirebbe di notare già solo tra le pagine della Scrittura che essa è percorsa da una continua dialettica fra culture: dalla mesopotamica alla cananeo-fenicia; dalla egizia alla persiana; dalla greco-romana (si pensi a san Paolo) alla giudaica. Dunque, aprirsi alla lettura della Sacra Scrittura significa voler provare a comprendere e a valutare le radici bibliche non solo della religione cristiana, ma anche dell’ebraismo, e dell’islam. Simili confronti potrebbero contribuire a spiegare l’origine delle nostre intime diversità, ma anche i comuni punti di contatto, oltre che a rendere più efficace il dialogo religioso e culturale, in un mondo sempre più multiculturale.
Attualmente il programma del ministero è di coinvolgere le scuole primarie, ma auspichiamo che il progetto si estenda anche alle scuole superiori, dove i giovani sono più pronti e meglio disposti ad animare a partecipare a dibattiti critici sui temi che le Scritture propongono. In tal modo lo studio della Bibbia diverrebbe di per sé parte integrante del curriculum scolastico dai primi momenti della formazione fino al termine degli studi superiori, in più si arricchirebbe di dettagli e si intreccerebbe ancor meglio con le più varie discipline: dalla letteratura all’arte; dalla storia all’educazione civica, fino alla filosofia.
In definitiva, se per ogni credente vale la frase che san Girolamo scrisse nel suo commento al libro di Isaia - “l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” - per un laico e per chiunque altro giova ricordare ciò che Borges scrisse nel suo Il Vangelo secondo Marco: “Gli uomini lungo i secoli hanno ripetuto sempre due storie: quella di un vascello sperduto che cerca nei mari mediterranei un’isola amata [Odissea] e quella di un Dio che si fa crocifiggere sul Golgota”.
Sia bandita ogni indebita sovrapposizione fra cultura classica e biblica, ma si smetta anche di continuare a rinunciare allo studio delle Scritture a scuola. Esse hanno plasmato la storia dell’Occidente da san Girolamo ad oggi, e questo dovrebbe bastare per rivendicare la loro importanza.
You must be logged in to post a comment Login