Ricordo ancora con grande piacere quando la mia insegnante delle elementari, la ‘mia maestra’, persona molto cara, distribuiva i libri della biblioteca ai piccoli allievi. Mi pare fosse di sabato. Perché allora si faceva scuola anche in quel giorno, mentre rimanevamo a casa il giovedì.
Ho prediletto quei cinque anni -più di qualunque altro momento scolastico- forse perché avevo avuto ottime insegnanti, anche nel primo biennio.
Situazione ideale per la bambina timidissima che io ero. Non conoscendo nessuno tra i compagni di classe, rimasi parecchi giorni a bocca cucita, a causa della ‘vergogna’ che mi bloccava.
Oggi so che ho amato quella mia scuola anche per avermi insegnato l’importanza della semplicità. E la quotidianità di un mondo più povero per tutti, incentrato sull’essenzialità.
Ma torniamo a quel terzo anno, con la nuova maestra, e ai libri tanto desiderati. Non sempre mi capitava il volume che avevo sperato di poter scegliere, qualcuno lo aveva preso prima di me.
Tra i più richiesti, in quinta elementare, ricordo I ragazzi della via Paal, di Ferenc Molnar. Dovetti aspettare un po’ per leggerlo, poi venne il mio turno. Nel libro, ricoperto con una carta color paglierino, mi si dischiuse la realtà di un mondo che non conoscevo, triste e crudo, che avrebbe segnato di tragedia il destino del protagonista. Un biondino dagli occhi azzurri, a nome Nemecsek, vittima di coetanei prepotenti, cresciuti a loro volta in un ambiente rigido e povero.
Avevo letto anni prima Oliver Twist di Dickens, me lo aveva regalato zia Mina, che era stata in gioventù maestra elementare.
Mi aveva subito colpito l’atmosfera sordida, drammatica, e il clima cupo di un’Inghilterra impietosa coi diseredati e coi minori poveri, come Oliver. Nato, e da subito orfano di madre. Anche l’atmosfera mi aveva convinto della forza narrativa del romanzo, di quel quadro che si evidenziava come una brutta favola, per fortuna -pensavo- ben lontana da me.
Con Nemecsek avevo invece vissuto e lottato, per tutto il tempo della lettura, e persino immaginato di correre assieme a lui. quasi tendendogli la mano.
Nell’aria ghiaccia e frizzante di Budapest, sotto il cielo di un paese a me estraneo, avevo trepidato e pianto per il tuffo in acqua gelido e crudele, ripetuto allo sfinimento, che poi lo avrebbe ucciso.
I momenti di felice attesa e di incontro con i libri mi sono rimasti dentro per sempre. L’odore della carta invecchiata dagli anni svaporava dall’armadio della scuola elementare dove stavano riposti, nei colori austeri della carta che li ricopriva, bluette o grigia o beige. E le etichette bianche, a indicare titolo e autore.
Oggi di libri se ne regalano a iosa. Dalle prime copertine pesanti e fantasiose piene di colori per i lattanti, alle illustratissime favole destinate ai genitori più volenterosi. Alle vicende, riproposte su carta dai cartoons più visti, in tv o sul Web.
Ma, appena crescono, i ragazzi sono avvinti al telefono; e di leggere storie o poesie non si parla più.
Libri in mano loro ne spuntano pochi, a parte i voluminosi testi scolastici. E molti dichiarano sinceramente che a leggere non ce la fanno proprio. Ma neppure gli interessa.
Noi boomer siamo cresciuti a libri, poesie, pensierini scolastici, a riassunti e temi, e letture in classe, a ‘voce alta’: Gian Burrasca in primis, divertentissimo, poi Fogazzaro e il suo Piccolo mondo antico alle medie, e anche il Vangelo di Giovanni, come esempio di alta scrittura. Ricordo ancora l’antologia: era un volumone di racconti, non solo di autori italiani. Lo portai a casa appena acquistato: e cominciai da subito a leggere, giorno per giorno, prima d’iniziare la scuola.
Cosa si potrebbe fare oggi per motivare i ragazzi alla lettura? Togliergli il telefono, forse. O chiedere loro di metterlo da parte almeno per un po’? Sociologhi e piscologi lo sconsigliano. Forse li ritroveremmo spaparanzati sul divano, con il telecomando, davanti al televisore multimediale che sanno usare, molto meglio loro di noi.
Perché come spiega il filosofo Umberto Galimberti: “La tecnica è già diventata soggetto della storia e noi siamo diventati i funzionari dell’apparato tecnico”.
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