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Attualità

RIPULIAMO LA MEMORIA

FABIO GANDINI - 21/03/2025

bergamoCinque anni fa, proprio di questi tempi, nelle strade notturne e deserte di Bergamo sfilavano i camion contenenti le bare di coloro che erano morti nella zona causa della pandemia di Covid. I cimiteri cittadini e del circondario non avevano più posto per quei corpi: troppe le persone decedute, tutte insieme, una dopo l’altra, in una sequenza drammatica e inesorabile.

Quelle salme dovevano essere seppellite altrove, alcune arrivarono anche a Varese.

I video e le foto di quelle ore divennero e sono ancora oggi un simbolo, al pari – sempre restando in terra orobica, una delle più colpite in quella fase iniziale – delle dieci pagine di necrologi che l’Eco di Bergamo fu “costretta” a pubblicare il 13 marzo 2020, per ospitare il dolore di centinaia di persone che – tutte contemporaneamente – avevano perso un loro caro.

Mai vista una roba simile.

Vengono ancora i brividi, ma solo per un attimo. Il resto è rabbia.

Alimentate dai social, dall’ignoranza, dalla frustrazione, da una degenerazione egocentrica, credulona e mistificatrice, da un’ambizione di distinguersi mal riposta che porta a confondere il dubbio legittimo con la distorsione senza freni della realtà e ad abbeverarsi senza senno dai disinformatori di professione spuntati come funghi, falliti capipopolo senza arte né parte, in questi cinque anni si sono levate sempre più forti (più forti, non tanto più numerose: ricordiamo che i social danno risalto a una minoranza rumorosa, non alla silenziosa maggioranza dotata almeno di medie capacità intellettive) le voci di chi ha messo in dubbio questi “simboli”: quei camion erano vuoti, quelle bare erano vuote, quei necrologi erano falsi.

Era tutta una messa in scena, tutto un “progetto”, tutto “calcolato”.

Cinque anni di involuzione intellettuale che ha progressivamente investito ogni aspetto della pandemia, delle misure di prevenzione adottate, vaccini compresi, a quelle necessarie a contenere un ordine pubblico stravolto dagli eventi. Come se avessero sofferto solo loro a stare chiusi mesi in casa… Come se la mascherina h24 avesse dato fastidio solo a loro, come se solo loro e il loro supremo dubitare – che viaggia ormai su un piano inclinato (e dopo il Covid il clima, e i brogli contro Trump, e le mistificazioni di Putin, e… aspettiamo la prossima puntata, molto probabilmente la malattia del Papa) e diventa omologazione al contrario (se dubiti di tutto è come se non dubitassi mai davvero: appartieni semplicemente a una nuova corrente di pensiero, ben più pericolosa del main stream) – abbia colto gli errori, le impreparazioni, le ingiustizie e persino le contraddizioni che in realtà quasi tutti abbiamo colto, ma che infine abbiamo digerito per un superiore bene comune.

È andato tutto male, altroché. E persino il ricordo del dolore, della paura, dei cari che non ci sono più è andato sporcandosi.

Mentre scriviamo questo pezzo, le campane del convento dei Frati Cappuccini di Varese stanno suonando, così come quelle dell’intera Lombardia nello stesso momento, per commemorare le vittime del Covid e togliere un poco di quello sporco. Noi vorremmo fare anche di più in questa sede e per questo scopo: recuperare una vicenda di quei giorni sospesi a prova di “complottismo”, perché essa racconta esclusivamente di abnegazione professionale, passione, altruismo e generosità.

Il 23 marzo 2020, o almeno è questa la data che abbiamo recuperato dalle cronache, cinque medici varesini in pensione ritornarono in servizio per dare una mano agli ospedali varesini ingolfati di pazienti senza respiro, seguiti poi da altri colleghi e da diversi infermieri. Furono i dottori Guido Bonoldi, Mario Diurni, Giulio Minoja, Edoardo Paganini e Sergio Fonzi.

Mario Diurni, frequentatore nel passato di Radio Missione Francescana, lo conosciamo personalmente ed è una persona straordinaria. Mai ci permetteremmo di commentare ciò che per impreparazione e ignoranza non conosciamo, ovvero il suo lavoro, ma la sua professionalità, la sua carica umana fusa a delicatezza e rispetto che regala a ogni suo interlocutore, la sua forza, la sua attenzione, sono il substrato da cui è nato – non a caso – il gesto di reindossare il camice e tornare in battaglia.

Una battaglia che il mondo forse non ha nemmeno pareggiato, ma che almeno è stata autentica e pulita, visto che è stata portata avanti da uomini come lui.

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