La resurrezione di Gesù Cristo costituisce il fulcro, il nocciolo del Cristianesimo. L’apostolo Paolo ha scritto: ”Se Cristo non è resuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede” (1Cor 15, 14).
Nel corso della storia molti hanno contestato questa verità di fede, servendosi alternativamente di due teorie: quella della frode e quella della allucinazione.
La prima tesi sostiene che gli apostoli avrebbero inventato tutto; la seconda invece che sarebbero stati vittime di una visione immaginaria causata dal loro fortissimo desiderio di vedere Gesù risorto.
Nel primo caso vi sarebbe malafede, nel secondo ingenuità.
Secondo la prima teoria gli apostoli dopo la morte di Gesù si rendono conto del loro fallimento per avere seguito chi aveva promesso loro tante cose ma che invece era stato condannato a morte ignominiosa sulla croce. Per non perdere la faccia davanti ai seguaci non restava altro da fare che recarsi di nascosto al sepolcro e trafugare il corpo di Gesù.
Questa teoria è però inconsistente: se davvero gli apostoli avessero sottratto le spoglie di Gesù voleva dire che essi sapevano che non era risorto; ma allora perché impegnarsi per il futuro e affrontare la persecuzione e il martirio, come in effetti moltissimi di loro coraggiosamente fecero?
“Non possiamo – affermano Pietro e Giovanni quando vengono ascoltati dal Sinedrio – non parlare di queste cose che abbiamo visto e udito” (At 4,19).
Chi avrebbe affrontato la morte per testimoniare un evento non accaduto?
La tesi della frode non l’accetta più nessuno anche perché è scientificamente accertato che i Vangeli sono testimonianze genuine della fede dei primi discepoli a cominciare da pochi anni successivi agli eventi raccontati con grande semplicità e chiarezza.
La seconda teoria è meno grossolana ma altrettanto inconsistente; afferma che gli apostoli, in preda ad una emozione fortissima, hanno creduto di vedere il risorto mentre in realtà erano vittime di una allucinazione.
L’allucinazione può certamente esistere; è il prodotto della propria psiche ma, in quanto tale, essa deve riconoscere ciò che ha prodotto.
In altre parole i discepoli avrebbero dovuto riconoscere il risorto senza esitazione, invece i Vangeli narrano che Gesù non fu immediatamente riconosciuto. Il gruppo di Emmaus riconobbe il Signore solo allo “spezzar del pane” e Tommaso volle mettere il suo dito nel costato di Gesù che per dimostrare che non era un fantasma si cibò del pesce preparato dai discepoli.
Gesù non è un “cadavere” che ha recuperato la forza vitale, ma una persona veramente risorta e rigenerata anche nel suo corpo, che è l’elemento essenziale della sua riconoscibilità e, nel contempo, il carattere che lo assimila a tutta l’umanità.
La resurrezione di Gesù si iscrive nelle potenti manifestazioni con cui Dio ha rivelato agli uomini il suo disegno di salvezza; Cristo è risorto anche nella carne perché il corpo è ciò che l’umanità ha in comune con Gesù Cristo.
In Gesù risorto tutta l’umanità viene salvata: “Se siamo stati completamente uniti a lui … lo saremo anche con la sua resurrezione” (Rm 6,5).
Se davvero gli apostoli fossero stati vittime di un’allucinazione non si capisce perché gli ebrei ortodossi e gli stessi romani non esposero il corpo di Gesù per mostrarlo al popolo e dissolvere tale tendenza.
La verità del cristianesimo è nella prodigiosa sintesi tra fede e storia e si fonda sul Vangelo: la testimonianza dei discepoli che hanno creduto in Gesù di Nazareth, un preciso individuo storico che si è accreditato a loro e a noi come il figlio del Dio vivente.
Gesù è il Cristo: il Dio che si è incarnato e ha assunto tutti i caratteri dell’umanità eccetto il peccato e l’umanità, tramite Lui, può accedere alla divinità e alla vita eterna.
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