Vi sono delle date che pesano come macigni sulla storia del nostro Paese, una di queste è sicuramente il 25 luglio. Quel giorno del 1943, infatti, crollò la dittatura fascista, Mussolini fu arrestato e il Maresciallo Pietro Badoglio che lo sostituì terminò il suo messaggio radiotrasmesso agli italiani con una frase che non prometteva niente di buono: “La guerra continua”. In realtà quel messaggio, più che gli italiani, doveva rassicurare l’alleato tedesco circa le intenzioni del nuovo governo a proseguire la guerra al loro fianco, anche se la verità era che Badoglio aveva già preso contatti con gli anglo-americani al fine di giungere alla stipulazione di un armistizio. Qualche mese fa, durante la conferenza stampa seguita al suo incontro col Segretario Generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, il premier Monti ha assicurato che il nostro Paese continuerà a garantire risorse e uomini per l’addestramento delle forze di sicurezza afghane, anche quando ce ne torneremo a casa nel 2014. In realtà, più che la NATO, Monti ha voluto rassicurare gli USA circa le nostre intenzioni di voler restare in Afghanistan per almeno altri due anni, senza trovare il coraggio di dire a chiare lettere che l’Italia non è più in grado di spendere tre milioni di euro al giorno per continuare a puntellare il corrotto governo di Hamid Karzai. Anche perché quei soldi servono per contribuire alla sopravvivenza di tutto il complesso della nostra malmessa difesa nazionale in un momento particolarmente difficile (mi si passi questo eufemismo…) per le finanze statali.
Peraltro, l’intervento occidentale in Afghanistan, che non ha sconfitto i talebani, ma li ha soltanto allontanati dai grandi centri urbani, è costato fino ad oggi la vita a 27.000 guerriglieri, 14.000 civili, 7.200 militari regolari afghani e 2.100 militari della NATO tra i quali si annoveravano cinquanta militari italiani. Almeno fino al 25 luglio scorso quando, in una base di Adraskan, è stato ucciso il Carabiniere Manuele Braj e feriti tre suoi commilitoni dello PSTT (Police Speciality Training Team), quel Reparto che addestra le nascenti forze di sicurezza afghane. Questa è l’unica notizia certa che possiamo ricavare dal comunicato dello Stato Maggiore, perché per il resto dobbiamo affidarci alle deduzioni logiche, stante che ancora non si è capito se sia stata una bomba di mortaio, o un razzo, o il deliberato attentato di un poliziotto afghano “refrattario” a seminare la morte tra i Carabinieri italiani. Dopo molte versioni, alla fine è venuto fuori che il povero Braj è stato ucciso da un razzo da 107 mm, versione questa smentita dal Comandante afghano della base di Adraskan secondo il quale, invece, l’accaduto sarebbe da attribuirsi all’imperizia dei nostri pur bravi Carabinieri nel manipolare una bomba a mano per scopi addestrativi. Pur volendo prendere per buona la versione fornita dallo Stato Maggiore, non si può fare a meno di rilevare che quello da 107 mm è un razzo che, generalmente, è sparato con un lanciatore spalleggiabile e ha una gittata massima di cinque chilometri, anche se la sua efficacia si sviluppa a distanze di molto inferiori. Ebbene, possibile che la ricognizione aerea e terrestre non si siano accorte che a qualche migliaio di metri dalla base si aggiravano dei terroristi armati di lanciatori? Possibile, poi, che nessuno nella base abbia sentito il caratteristico fischio di arrivo di quel razzo? Tra l’altro, lo Stato Maggiore non dice che Braj è stato certamente ucciso da un razzo ma soltanto che nella base “sono stati rinvenuti frammenti attribuibili a un razzo da 107 mm”.
Chi scrive non ha mai avuto in grande estimazione il linguaggio multivalente degli Stati Maggiori e, tuttavia, questa volta almeno una cosa è chiara: non sappiamo con certezza com’è morto Manuele Braj! Purtroppo, il nostro è il 51° caduto in una decennale guerra che non ha migliorato la vita degli afghani, che non ha portato loro la democrazia (che considerano kufr, miscredenza) e che non ha sconfitto gli integralisti i quali riprenderanno il potere il giorno dopo che gli eserciti della coalizione occidentale se ne saranno andati. Chissà se, quando sarà in grado di capire, la spiegheranno così la guerra in Afghanistan a quel bimbo di Collepasso che non conoscerà mai il padre che, nel fiore degli anni, è caduto, non si sa bene come e per cosa.
È noto che il direttore di questo periodico online ha in uggia l’arditezza di certi paralleli storici ma, ahi lui, talune somiglianze tra eventi di ieri e di oggi sono talmente evidenti che sarebbe stato omissivo non rimarcarlo. D’altronde, non è colpa di chi scrive se le rassicurazioni fornite da Monti a Rasmussen rassomigliano a quelle che Badoglio diede ai tedeschi nel 1943: “La guerra continua”. E i lutti pure.
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