E siamo già a marzo: l’immancabile frase di malinconica constatazione del tempo che passa. Purtroppo a volte si inabissano anche i ricordi.
Sembra lontanissimo il 28 febbraio 1991 quando ufficialmente si concluse la prima guerra del Golfo, quella che fu definita anche la prima guerra del villaggio globale. Ma il mese di marzo, dedicato dagli antichi Romani al dio della guerra, ci obbliga a ricordare che le guerre non passano. Almeno loro, i Romani, avevano chiaro il tempo del guerreggiare: iniziava a marzo e terminava a ottobre. E sempre i Romani sapevano bene che bisogna omaggiare anche la vita: marzo, inizio per il loro calendario del nuovo anno, si apriva con i riti dedicati a Giunone, protettrice dei parti e delle nascite, e si concludeva con la festa della Salus publica, concordia et pax.
Insomma la guerra, almeno nelle intenzioni, doveva essere una parentesi. Ma per noi che cosa rappresenta il pazzerello – almeno metereologicamente – marzo? Potremmo immaginare un gioco: ti dirò chi sei in relazione a che cosa – di getto – associ a marzo.
Potrebbe essere la canzone I giardini marzo che si conclude con una richiesta di sostegno da parte di una donna innamorata: “Se mi aiuti sono certa che io ne verrò fuori”? o un’altra canzone Agua de março, per alcuni una delle più belle canzoni brasiliane, che a ritmo di bossa nova ricorda che, pur nel fango lasciato da un violento temporale nel passaggio – per quella terra – dall’autunno all’inverno, si può sperare? Oppure associamo marzo alla giornata internazionale della donna o alla festa di san Giuseppe e dei papà? Al ventuno giornata mondiale della poesia o all’11, che ricorda le vittime del terrorismo? Magari al mistero della vita con le sue strane coincidenze come fu per D’Annunzio, il poeta del vitalismo, che nacque a marzo e morì proprio il primo marzo. Forse il terzo mese dell’anno, più di altri mesi, pare adatto a farci riflettere sulla complessità della vita con le sue molteplici sfaccettature. E soprattutto sul valore della rinascita. Continuano a farlo i versi scritti nel 1932 da un ventenne Giorgio Caproni. Dopo la pioggia la terra/ é un frutto appena sbucciato. / Il fiato del fieno bagnato/ é più acre – ma ride al sole/bianco sui prati di marzo/ a una fanciulla che apre la finestra. Il volubile marzo è secondo il profondo pensiero della poetessa Emily Dickinson il mese dell’attesa. Magari di un cambiamento. Soprattutto di quelli inattesi.
Nel nostro gioco di associare marzo a emozioni o a accadimenti, quasi cartina al tornasole del nostro, più o meno consapevole, modo di intendere la vita, non possono mancare le Idi di marzo del 44, con quelle pugnalate che misero fine all’ascesa del potere di Cesare. Certo è un ricordo storico ma è un monito a considerare che anche nella grande storia un fatto, un singolo fatto, può modificare il corso degli eventi. Cesare avrebbe potuto seguire il consiglio della moglie Calpurnia di non andare in Senato. Lui andò. Ma il poeta greco Costantino Kavafis immagina che quel 15 marzo Giulio Cesare obbedì ad un altro consiglio, quello di fermarsi a leggere un manoscritto. Artemidoro gli disse: “Leggi questo … non mancare di fermarti, non mancare di differire colloqui e lavori, di rimuovere i tanti che al saluto si prostrano... “
È solo una poesia e non la storia, ma alla rinascita di marzo dobbiamo soprattutto associare un pensiero, quello che c’è il destino ma anche la nostra capacità di scelta.
Possiamo malinconicamente pensare che siamo già a marzo o sorridere ricordando una delle fulminati e ironiche battute di Umberto Eco, risposta ad una apparente banale domanda: Come sta? Giulio Cesare rispose: “Sa, si vive per i figli, e poi marzo è il mio mese preferito…”. Noi meno ironicamente ci limitiamo a dire: Benvenuto, Marzo.
You must be logged in to post a comment Login