“È una giustizia a orologeria”, protesta puntualmente la maggioranza di fronte ai guai giudiziari che le piovono addosso: come se a provocare inchieste, comunicazioni e avvisi di garanzia fossero le toghe in malafede e non i ministri, i sottosegretari e talora i personaggi ancora più in alto nell’organigramma istituzionale, con azioni che prestano il fianco a dubbi e a sospetti da vagliare. L’accusa è grave, ricorrente. E colpisce uno dei tre poteri che secondo Montesquieu devono avere uguale peso nello Stato e godere di uguale rispetto. Un principio che è la pietra miliare dell’ordinamento democratico. Invece oggi, come ieri, come sempre, la politica accusa la magistratura di essere politicizzata, schierata e di parte. Il governo non fa che ripetere la litania che ha scandito spesso l’azione degli esecutivi a cavallo dei due secoli.
È un disco rotto che ha stancato. Una favola, una scusa. Viene il sospetto, per non dire la certezza, che il mantra della giustizia a orologeria sia la difesa rituale, abusata e irritante di una rendita di posizione che pretende di essere al di sopra della legge, impunita, inattaccabile e inamovibile. Partendo dal presupposto che “io sono io e voi non siete un…”, per dirla con lo strafottente marchese del Grillo. In passato un certo tipo di nobili, oggi un certo tipo di politici. La mentalità di chi detiene il potere in Italia è spesso la stessa, arrogante e autoreferenziale. Un atteggiamento che disorienta il cittadino che rispetta le regole e finisce per tentarlo, per convincerlo a fare il furbo, per indurlo a osare nella speranza più che fondata di farla franca.
L’antica arte di far funzionare il meccanismo che segna la durata del tempo è evocata a sproposito per ritardare i sacrosanti effetti dei comportamenti inadeguati a chi ricopre ruoli pubblici. È sventolata dai profittatori per evitare di lasciare le poltrone a persone più degne di occuparle con una sfrontatezza che va oltre i limiti dell’opportunità e scade nel discredito dell’intera classe politica. Un pessimo esempio per i cittadini. Sarebbe ora invece, per restare in tema di orologeria, che chi è chiamato a gestire delicate incombenze di governo, chi ha la responsabilità di amministrare la cosa pubblica mostrasse – se indagato o condannato – la dignità di fare un passo indietro senza nascondersi dietro l’accusa ai giudici di non essere fedeli ai propri doveri deontologici. Proprio come chi li attacca.
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