L’inizio del terzo mese del Giubileo della Speranza segna un’imprevista accelerazione dettata dalle notizie sulla salute di Papa Francesco: se fino ad ora le prenotazioni erano infatti piuttosto costanti, negli ultimi quindici giorni si è assistito ad un rapido incremento dei numeri.
Da un lato il fenomeno è spiegabile con il sincero desiderio di tanti cristiani di manifestare il proprio affetto per il Santo Padre in questo momento di prova. Ma vi è anche una lettura che pesca nello storico (e cinico) realismo romano: il timore che un precipitarsi degli eventi possa modificare il calendario dell’Anno Santo. Nel dubbio molte parrocchie della capitale hanno rotto gli indugi ed organizzato i pellegrinaggi.
Un pomeriggio a piazza Pia, tappa iniziale dell’itinerario per l’ingresso alla Basilica, ci regala un pittoresco spaccato della situazione.
Qui un gabbiotto posto a destra della piazza consente ai gruppi organizzati di ritirare la croce di legno, uguale per tutti, ed ai pellegrini giunti singolarmente di aggregarsi in venti-trenta per iniziare il cammino verso la Porta. C’è’ una bella confusione: c’è chi intona inni religiosi e chi decide di fare merenda. Bandiere straniere si mescolano a cartelli scritti con il pennarello. Megafoni improvvisati coprono il rumore della città.
I volontari, riconoscibili dalla pettorina verde, chiamano, smistano, raggruppano con grande efficienza. Ogni giorno c’è una precisa tabella di marcia tra prenotazioni e singoli che permette una partenza lungo l’itinerario per via della Conciliazione più o meno ogni dieci-quindici minuti.
A tutti viene distribuito una “Preghiera per il Pellegrinaggio”: si tratta di un quartino contenente brani dai Salmi 23/83/123, dalla Lettera ai Romani 5 1-5 e dalle litanie dei Santi, che i fedeli recitano avviandosi verso la Porta Santa. Il tracciato è segnato da rigide transenne di acciaio e cemento, alternate a fioriere. Ai lati passeggiano invece i turisti e i passanti occasionali, incuriositi dallo spettacolo di devozione e dalla diversità di ogni gruppo. Canti e preghiere in tante lingue si mescolano al vociare degli ambulanti che vendono paccottiglia o invitano a un tipico pranzo romano a soli dieci euro. Il risultato è uno spaccato di sacro e profano, pensiamo, non molto diverso da quel primo Giubileo del 1300 che aveva cosi colpito Dante da descriverlo nei canti 28-33 dell’Inferno come un “doppio senso di marcia” sul Ponte degli Angeli, disposto per organizzare la grande ressa (“l’esercito molto”) di quelli che andavano e venivano dalla Basilica.
Il controllo ai metal detector, appena superata Piazza Pio XII, interrompe per diversi minuti la preghiera. Ma ci si ricompone rapidamente per il tratto finale che, attraverso un percorso guidato che divide tra Porta Santa, Basilica e visita alla Cupola, introduce a concludere il gesto di fede. La Porta è quella all’estrema destra della facciata. Si entra sfiorando le formelle dello scultore Vico Consorti. L’ingresso ahimè non è per nulla agevole, perché ormai quasi ogni fedele cede alla tentazione di fermarsi per scattare un selfie nonostante gli incitamenti a proseguire degli addetti vaticani.
Una volta all’interno si raggiunge la Tomba dell’apostolo Pietro per la recita del Credo, di un Pater Gloria e tre Ave Maria per le intenzioni del Santo Padre. Ai molti confessionali vicini è possibile ricevere il sacramento che insieme ad una comunione entro le due settimane successive compongono le condizioni per accedere all’indulgenza plenaria.
Gli itinerari delle parrocchie romane per arrivare in San Pietro sono ovviamente tutti diversi. Nel nostro caso si è partiti dalla Chiesa di San Pietro in Vincoli (con il miracolo delle due catene, quella di Gerusalemme e quella di Roma, che imprigionarono l’apostolo, fuse insieme), passando per il carcere Mamertino (luogo della detenzione di Pietro) sino ad arrivare alla sua Tomba.
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