Un viaggio di qualche minuto in una cascina di Robasacco, dove il signor Giovanni – capelli canuti ma la forza di un toro – si industria con gli alambicchi per una produzione casalinga di grappa. L’arzillo anziano ci informa che non se la berrà tutta lui, fortunatamente: è pronto a elargirla anche ai suoi vicini di questo sparuto gruppo di case del Bellinzonese.
Ogni giorno una storia diversa. Se ieri era Robasacco, oggi è Locarno, dove la Cantina Canetti compie esattamente 100 anni: due chiacchiere con i gestori e qualcuna in più con gli avventori, tra fisarmoniche, vino novello, carte che viaggiano dalle mani ai tavoli, e viceversa, e tanta allegria.
Meno immediata, invece, la comprensione di quale sia veramente la mansione di Walter Ratti, presentato nel servizio come “l’ultimo lampista della Svizzera Italiana alle dipendenze delle Ferrovie statali”. Lampista? Una ricerca su Google e passa l’imbarazzo: lampista è (o meglio era) la professione degli addetti alla manutenzione degli apparecchi d’illuminazione delle ferrovie e delle miniere.
A volte capitano immagini a colori, le prime, quelle dai toni sbiaditi degli anni 70 e quelle un pizzico più raffinate del decennio successivo. Per il resto è un trionfo di bianco e nero di marca anni 60 e 50, come nella breve inchiesta sui piccoli impianti sciistici ticinesi, minuscoli avamposti di divertimento resi possibili da una neve molto meno “aristocratica” di quella odierna (che cade costantemente solo ad elevate altitudini) e da fruitori con meno pretese. Eh sì, una volta gli “scilift” (e non skilift…) non si prendevano solo nelle rinomate capitali della montagna, ma anche a Cimadera, Cimalmotto, sul Monte Generoso, a Palagnedra, a Bosco Gurin. Per non dire del Tamaro, una “palestra” per noi varesini: siamo nel 1983, di nuovo a colori, che restituiscono perfettamente le sfumature delle tute da sci, il volto felice dei loro indossatori e le targhe delle macchine di questi ultimi, piene di “VA”, “CO”, “MI”. L’intervistatore fa loro qualche domanda mentre attendono la funivia per salire in cima: c’è buon umore, le piste sono panettoni lievitati di neve, la bellezza e la comodità del Tamaro sembrano un privilegio destinato a non finire mai.
È andata diversamente: al Tamaro non si scia più dal 2003. Una regola, ormai, “a sud delle Alpi”.
Niente e nessuno, al contrario, ci potrà togliere il piacere di brevi e frequenti tuffi nel grazioso passato raccontato dalla pagina Facebook “RSI Archivi”. A cadenza quotidiana essa ripropone video giornalistici pescati dai vecchi notiziari (sia quello generalista che il “Regionale) della Radio Televisione della Svizzera Italiana. Scoprirla è stata una rivelazione, ma anche una sorta di “risarcimento” che condividiamo con tutti i nostalgici del telegiornale che l’emittente ticinese trasmetteva alle 20 ogni sera. Altro che Rai o Mediaset o La 7: noi si guardava quello, per la sua serietà, per la professionalità senza vezzi dei suoi conduttori, per il suo essere davvero “internazionale”, per il suo trattare le notizie italiane senza la morbosità propria di tanti nostri bollettini.
Allo switch off delle antenne è ora arrivata in soccorso la rete, con queste pillole vintage che sono un trionfo di dialetto orgogliosamente professato come “prima lingua”, ma anche di eleganza giornalistica resa evidente dal contegno degli inviati, “musicanti” dei temi trattati con competenza, senza prevaricare, senza ergersi a protagonisti sopra la notizia. E poi le immagini, i suoni, le vite, i segreti, i sogni di un mondo che non c’è più.
Che scoperta, RSI Archivi: è un ritorno alla nostalgia, alla delicatezza, alla semplicità delle persone, ai toni bassi e ai luoghi della nostra infanzia; è un occhio che si strizza volentieri alle “fiabe” quotidiane che una volta si raccontavano di là del Gaggiolo, terra di persone che la storia, la vicinanza geografica, di costumi e di lingua hanno reso e sempre renderanno dei “cugini” cui il Varesotto è indissolubilmente legato.
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