Una notizia buona e una poco buona. Quella buona è che Jannik Sinner, il nostro numero uno del tennis mondiale, può tirare un sospiro di sollievo perché, patteggiando una pena di soli tre mesi, presto potrà tornare e a giocare su tutti i campi del circuito internazionale. Quella cattiva è che viene condannato da innocente, del tutto estraneo ai fatti. La pena, apparentemente lieve, è imputabile al fatto di essere stato contagiato con una quantità infinitesima di una sostanza dopante (7-8 milionesimi di un milionesimo di grammo). Il Clostebol, uno steroide anabolizzante, contenuto in una pomata usata dal suo team, con cui è venuto in contatto, del tutto accidentalmente. La sentenza riconosce che il nostro tennista non aveva alcuna intenzione di barare, di doparsi, e la sostanza assunta non gli ha dato alcun vantaggio competitivo. Non gli ha fatto vincere alcun torneo. Nemmeno un “15” di un game. Paga per la responsabilità di una svista del suo team.
La storia risale a quasi un anno fa e in prima battuta, l’estate scorsa, Sinner era stato scagionato da un primo tribunale anti doping, l’ITIA (International Tennis Integrity Agency, di fatto, un’emanazione della WADA). L’avevano considerato un incidente ed era stato archiviato, suscitando qualche polemica nel mondo del tennis. Alcuni colleghi dell’altoatesino non vedevano di buon occhio il fatto che gliela facessero passare liscia. E così la WADA (World Anti Doping Agency) ha fatto ricorso e ha messo Sinner sotto inchiesta. Si può anche capire. È un organismo poco stimato. Ed era appena uscita la notizia di un’inchiesta sulle Olimpiadi di Tokyo, nella quale si dimostrava che ben 23 nuotatrici cinesi erano state trovate positive alla trimetadizina, un prodotto per il trattamento sintomatico dell’angina pectoris, senza che fosse stata aperta nemmeno un’inchiesta.
Quindi, la storia di Sinner non poteva passare in cavalleria, bisognava far vedere di esserci. E così è cominciato un tira e molla fatto di molte interviste (l’ultima su «La Stampa» del 13.2.25) e di poche indagini, per dare all’opinione pubblica la sensazione di essere sul pezzo, di fare il proprio lavoro, il più rigorosamente possibile. Da come s’era messa, la storia avrebbe potuto andare avanti per un bel pezzo, tenendo il nostro atleta sulla griglia, a fuoco lento, chissà quanto tempo ancora, senza considerare che si tratta pur sempre di un ragazzo di soli 23 anni (!) e non di uno scafato professionista prossimo alla pensione. E quindi han fatto bene a patteggiare una pena tutto sommato lieve. Che, però, sempre una pena è. E non potrà essere cancellata mai dal suo curriculum. Gli rimarrà addosso come un’ombra, una macula che non va via neanche con la trielina.
Ma, ripeto, ha fatto bene così. Ne abbiamo viste troppe sul doping, per aver fiducia nella giustizia sportiva, a cominciare dalla storia del ciclista Pantani che fu portato in galera, in manette, mentre correva il Giro d’Italia che stava vincendo, con un’accusa di doping costruita ad arte, come abbiam saputo anni dopo e che, verosimilmente, lo porterà al suicidio. Per chiudere con la storia di un altro altoatesino, il marciatore Alex Schwarzer. Prima reo confesso di pratiche sportive scorrette e poi vittima innocente di una nefandezza, quale sarebbe stata l’alterazione dei suoi prelievi, come sembra emergere da un’inchiesta ancora in corso della Procura di Bolzano. Pare che adesso, proprio adesso, la Wada abbia deciso di rivedere i parametri («La Stampa», 13.2.25), per evitare di dover prendere provvedimenti per quantità irrilevanti. Per cui – sembra – che già dal 2027, casi come quelli di Sinner non si ripresenteranno («Corsera», 16.2.25). Ma per arrivare a tanto bisognava trovare una vittima sacrificale e l’hanno trovata.
Per un motivo o per l’altro, la sensazione è di essere di fronte a organizzazioni internazionali completamente autoreferenziali, sia che si tratti di organismi politici o sportivi, chiusi nelle loro procedure, incapaci di guardare la realtà, se non dal buco della serratura. E allora viene da pensare che Trump alle volte ci prenda. Sbaglia di grosso su tante, tantissime cose. Fa e disfa tutto quel che gli capita a tiro. Adesso, ce l’ha anche con organismi internazionali come ONU, Nazioni Unite, Organizzazione mondiale della Sanità, Ue, ecc. Ma alle volte qualche ragione ce l’ha. Quindi, bisognerebbe darsi una mossa. Farla finita con le ipocrisie e dismettere subito quel che non va – e la WADA non va – prima che lo facciano altri. Wada, vada!
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