Il Papa, malato, non può parlare all’Angelus ma la sua voce si sente forte e chiara in ogni angolo del mondo: no alle deportazioni di massa, no alla politica migratoria del presidente Trump e alla Donald Theology a favore dei ricchi, no al metodo di identificare tout-court i migranti illegali con la criminalità. Per Francesco “lo stato di diritto si manifesta trattando dignitosamente tutti gli uomini, come meritano, specialmente i più poveri e gli emarginati. La società e i governi promuovono il vero bene comune quando accolgono, proteggono e integrano i più fragili, gli indifesi e i vulnerabili. Esorto tutti i fedeli della Chiesa cattolica – scrive Francesco ai vescovi americani – a non cedere alle narrazioni che causano inutili sofferenze ai fratelli e sorelle migranti e rifugiati”.
Gli espulsi dagli Stati Uniti sono sfilati in tv, ammanettati in fila indiana, gli occhi bassi, imbarcati sugli aeroplani che li riportano nei Paesi di origine. Le cronache riferiscono di un Trump furioso perché l’ente della sicurezza nazionale non procede agli arresti al ritmo di 1200-1400 al giorno che la Casa Bianca desidera. E rivelano che dallo studio ovale partono telefonate roventi per sferzare i responsabili del controllo sull’immigrazione ad accelerare i tempi. Per ora, ufficialmente, è arrivata da Washington alla Santa Sede solo una stizzita, quasi sprezzante reazione: “Il pontefice pensi alle mura che cingono da secoli il Vaticano e lasci che gli Stati Uniti si occupino di difendere i propri confini”.
Una risposta eccessiva. Il pontefice, infatti, non vuole certo impedire agli Stati Uniti di tutelare la propria comunità da chi ha commesso crimini violenti durante la permanenza nel Paese ospite o in quello di provenienza. Afferma invece che “ciò che viene costruito basandosi sulla forza, e non sull’assunto che ogni essere umano gode di pari dignità, incomincia male e finirà peggio”. Già nel primo mandato di Trump, il papa lo aveva tacciato di non essere “cristiano” per il muro costruito al confine con il Messico e aveva denunciato la politica presidenziale che separa, alla frontiera, i figli dai genitori. Quello stesso muro anti-migranti per costruire il quale lo stratega del presidente, Steve Bannon, è stato di recente condannato per truffa nei confronti dei finanziatori dalla corte penale di Manhattan.
Lo scontro fra l’amministrazione Usa e la Chiesa di Bergoglio rischia di farsi incandescente e non basta. Varie chiese d’America, da quelle ultra-cattoliche che in passato non risparmiarono critiche al Papa ad altre protestanti e luterane, si uniscono nella protesta contro le politiche annunciate dalla White House. Sotto accusa la sospensione del programma di accoglienza dei rifugiati, l’autorizzazione alle forze dell’ordine di cercare gli irregolari all’interno delle chiese, degli ospedali e delle scuole, l’espulsione anche degli immigrati che risiedono negli Stati Uniti da molti anni e la riapertura della famigerata prigione di Guantanamo. Per non parlare del nuovo ufficio della fede, affidato alla consigliera spirituale Paula White, sostenitrice della “teologia della prosperità” il cui motto è “opporsi a Trump è come opporsi a Dio”. Che è più o meno ciò che il patriarca ortodosso Kirill dice di Putin.
Sullo sfondo si agitano anche questioni economiche. Trump, forse dietro consiglio del fidato Elon Musk, ha sospeso le attività del braccio umanitario Usaid che gestisce miliardi di dollari per soccorrere milioni di persone in condizioni di miseria. E ha bloccato i fondi federali destinati alle organizzazioni no-profit che garantiscono l’accesso alle cure sanitarie essenziali e l’assistenza, la protezione e il pane quotidiano alle fasce più povere della popolazione, alle persone in difficoltà che vivono in ogni angolo del Paese e rappresentano tutte le religioni e le affiliazioni politiche. Una raffica di provvedimenti che ha indignato i vescovi statunitensi.
You must be logged in to post a comment Login