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Sport

LA LACRIMA DI HERMAN

FABIO GANDINI - 13/02/2025

Herman Mandole

Herman Mandole

«Sento che in questo modo sto contribuendo a far sì che le prossime partite abbiano un’energia migliore e che la mia uscita serva per decomprimere un po’ e arrivare alle gare decisive in un ambiente migliore».

Giunge alle 7 della sera quella risposta che speravi arrivasse, quel messaggio atteso che rimette al centro del villaggio la cattedrale dell’umanità, sospesa come solo lo sport la sa sospendere, quando dalla passione – sentimento di per sé nobile – sgorgano a mo’ di effetti collaterali la durezza della critica, la brutalità dei commenti e dei gesti, la pretesa di un cambiamento, la messa all’angolo delle responsabilità.

Di più: a volte lo sport e i suoi derivati extra campo, che sono il tifo e il giornalismo sportivo, fanno cadere nel sonno quella ragione che invece governa i normali rapporti interpersonali. Chi si sognerebbe di gridare a uno sconosciuto incontrato per strada il peggiore degli epiteti, insultarne gli affetti e l’onorabilità o invitarlo alle dimissioni dal proprio lavoro ergendosi a giudice dello stesso?

Aux côtés dello sport professionistico, invece, tutto questo diventa lecito. E allora succede quanto accaduto nel vetusto ma glorioso Lino Oldrini, teatro domenica scorsa di Pallacanestro Varese-Trento, match della terza giornata di ritorno della Serie A di basket. Varese ha perso ed è stata la quarta sconfitta di fila, l’ennesima di una squadra quartultima in classifica, a 2 punti dalla zona retrocessione: una squadra che gioca male, subisce una caterva di punti, non lotta e che non è mai riuscita, finora, nonostante i rinforzi ricavati dal mercato di infra-stagionale, a svoltare il proprio destino.

Tutto ciò ha “autorizzato” una domenica degna di un bestiario a Masnago: litigi tra tifosi e dirigenti e tra tifosi e tifosi, insulti irripetibili e fischi all’allenatore, violenze di verbo che sono arrivata a tanto così dal diventare di fatto. Non è stata la prima volta, quest’anno.

E il bersaglio preferito è sempre stato lui. Lui, straniero, ma che al pari di alcuni figli cestistici di questa terra, in passato oggetto delle stesse “attenzioni”, non ha saputo reggere il colpo. Nessuno può d’altronde riuscirci quando Masnago diventa così, quando l’amore e la competenza di una città che vive di pallacanestro si trasformano in un contraltare di rabbia, frustrazione e ferocia.

Herman Mandole, argentino, 42 anni, si è dimesso nemmeno 24 ore dopo questi fatti. Ha rimesso il proprio mandato nelle mani di Luis Scola, il deus ex machina del sodalizio cestistico prealpino, e ai general manager americani Zach Sogolow a Maksim Horowitz. Ora Varese, per arrivare alla salvezza, per non sprofondare in A2, punta sul greco Ioannis Kastritis, recentemente alla guida dell’Aris Salonicco in EuroCup.

Noi, invece, cerchiamo altro. Un senso, forse. Un senso di umanità che si è perduto per strada. Lo facciamo con un messaggio di saluto, di stima, con parole che tentino di riannodare i fili di ciò che dovrebbe essere più importante di una vittoria o di una sconfitta, di un canestro segnato o subito. E ci sentiamo responsabili, come attori – non di primo piano, ma pur sempre sul palco – di un sistema che in taluni contesti si dimostra irrimediabilmente malato.

Cerchiamo una risposta. E la risposta arriva. E racconta di un uomo cui tutta la violenza che abbiamo descritto sopra è entrata dentro, fino a segnarlo, fino a fargli pensare che fosse più opportuno lasciare il proprio posto di lavoro, lo stipendio con cui sfama la sua famiglia, i suoi sogni professionali, l’orgoglio e quella convinzione che ognuno di noi ha dentro – nello svolgere le mansioni cui è preposto – di poter cambiare il corso degli eventi, ciò che non va, ciò che non funziona.

Tutto normale, nello sport. Tutto assurdo, quando i riflettori sul campo si spengono.

Se e quando a Masnago torneranno il sereno, il tifo positivo e le vittorie, il cielo azzurro e il sole nasconderanno una lacrima, probabilmente inevitabile e financo necessaria. Ma non per questo meno triste.

La lacrima di Herman Mandole.

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