Trent’anni fa, a Fiuggi, nasceva Alleanza Nazionale, un passaggio fondamentale della destra italiana. Prima c’era il Movimento Sociale, fondato nel 1946 (dal 1973 MSI-Destra Nazionale) che come motto aveva il principio del “Non rinnegare, non restaurare” allineando ex fascisti che però accettarono senza riserve i principi democratici e parlamentari (oltre che la convinta adesione alla NATO che pur rappresentava gli “ex nemici”) con una chiara scelta di campo.
Fu però un lungo viaggio di 50 anni di emarginazione in un deserto politico paradossalmente reso ben più difficile non da resistenze interne, ma piuttosto proprio da quell’ “Arco Costituzionale” antifascista che evitava così tentazioni per la DC a scegliere alleati a destra. Quando vi furono tentennamenti (come con il governo Tambroni che nel 1960 era di fatto sostenuto dai voti missini) la piazza antifascista e socialcomunista stroncò sul nascere e con la violenza ogni compromesso.
Con il sistema elettorale maggioritario tutto cambiò, ogni voto “contava” e fu Silvio Berlusconi a rompere gli schemi, ma Gianfranco Fini (“lanciato” quattro anni prima da Giorgio Almirante come leader) a dare un volto giovane e credibile al rinnovamento politico e generazionale del MSI.
Il referendum elettorale (dal proporzionale al maggioritario) del 1992 fu infatti uno strappo improvviso, unico, impensabile e che nel giro di pochi mesi trasformò rapidamente la politica italiana che intanto – sotto le ondate di “mani pulite” – vedeva frantumarsi e sparire la DC, i socialisti e i gruppi minori, “salvando” però il PCI (che stava vivendo a sinistra una evoluzione per molti versi analoga a quella missina, anche per l’avvenuto collasso dell’URSS) di cui si coprirono le tracce su finanziamenti e collusioni spesso legate proprio ai rapporti con Mosca.
Dietro le quinte – chi scrive ebbe l’onore e l’onere di organizzare personalmente il congresso di Fiuggi e di aprirlo come segretario generale – furono mesi impegnativi, anche se la credibilità di Fini all’interno del partito (oltre che al progressivo successo esterno) fece superare molte delle perplessità che animavano quegli iscritti che temevano il salto nel buio. Alla fine solo un gruppo di irriducibili si staccò creando un gruppo autonomo “nostalgico” mentre l’adesione alle “Tesi di Fiuggi” fu convintamente approvata dalla stragrande maggioranza degli iscritti. Una scelta anticipata da quella parte di opinione pubblica che intanto aveva scoperto la destra nel voto diretto per l’elezione del sindaco (Fini arrivò nel novembre 1993 al ballottaggio alle “comunali” di Roma contro Rutelli raccogliendo il 47% dei voti) e soprattutto l’anno successivo concretizzandosi nel voto politico dove il centro-destra si presentò nei collegi con due alleanze variabili (Forza Italia e Lega Nord da sole nell’Italia Settentrionale, mentre FI e Alleanza Nazionale si unirono nei collegi al centro-sud). Ottenendo la maggioranza dei seggi e facendo deragliare la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto (che guidava il fronte della sinistra). Ne uscì – con l’aperta contrarietà del presidente Oscar Luigi Scalfaro – il primo governo Berlusconi con Forza Italia primo partito e quattro ministri di AN.
Vice premier e vero regista politico dell’operazione fu l’esponente barese missino Pinuccio Tatarella (che se non fosse scomparso anzitempo non avrebbe forse mai permesso a Fini di “sbandare” mettendosi anni dopo contro Berlusconi)
Fiuggi fu un lavoro organizzativo enorme raccogliendo quasi quattromila delegati che sotto gli occhi delle TV di mezzo mondo in un lungo week end votarono a grandissima maggioranza prima lo scioglimento del MSI-DN e poi la nascita di AN tra lo scetticismo preconcetto di quasi tutti i media e il quotidiano esame del sangue di antifascismo. D’altronde se ancora oggi c’è chi vede in Giorgia Meloni un potenziale rischio democratico immaginatevi cosa non era stato per Fiuggi dove le parole di ogni delegato erano vivisezionate dalla gran parte dei media per poter dimostrare come il cambiamento fosse solo di facciata, ma non convinto e credibile.
Non era così. Temi come immigrazione, denatalità, Europa (anche se l’Euro non c’era ancora) furono discussi con attenzione e serietà, spesso anticipando i tempi.
Fu quindi un congresso vero, soprattutto intessuto di sentimento perché per molti iscritti al MSI quel loro piccolo partito era una questione di fede, di anima, simbolo di anni di emarginazione e di orgogliosa diversità rispetto agli avversari. Oggi abbiamo la conferma che fu una scelta di campo e per chi come me l’ha vissuta in prima persona si può dire che fu non solo una scelta giusta, ma lungimirante e coraggiosa.
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