Informazione, dollari e potere, un triangolo pericoloso. Joseph Pulitzer, che fondò la scuola di giornalismo della Columbia University e diede il nome (e i fondi necessari per istituirlo) al prestigioso premio americano, si chiedeva ai primi del ‘900: “Sapremo salvaguardare il primato della Costituzione, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l’incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del denaro e dei disonesti?”. Era persuaso che la risposta dipendesse dalla qualità dell’informazione e ammoniva: “La nostra repubblica e la sua stampa progrediranno o cadranno insieme. Un’opinione pubblica informata è la nostra corte suprema. Ad essa ci si può sempre appellare contro le ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare e gli errori del governo”.
I dubbi di Pulitzer si ripropongono con il reinsediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, formalmente pregiudicato dopo la condanna comminatagli dalla Corte Suprema di New York per uno scandalo sessuale risalente al 2016: aver pagato la pornostar Stormy Daniels affinché tacesse sulla loro relazione quando era già sposato. Tutto si compra con i soldi? Il sospetto esiste. La sentenza macchia la sua fedina penale, ma Trump è dispensato dallo scontare la pena in base alle leggi vigenti nella giustizia americana. Un paradosso legale, talvolta la legge copre il reato. Ma ciò che resta impresso nella memoria dei telespettatori dell’insediamento in mondovisione è l’immagine dei padroni della Rete schierati davanti al presidente (tutti insieme valgono 1200 miliardi di dollari di patrimonio).
Mark Zuckerberg (Facebook-Instagram-Whatsapp, 134,9 mld fatturati nel 2024), Jeff Bezos (Amazon, 574,79), Sundar Pichai (Google, 307,79) ed Elon Musk (Tesla, 96,77) – i quattro Paperoni delle multinazionali digitali – si sono disciplinatamente allineati nell’atto di fedeltà reso al nuovo potente della Terra, un po’ come i feudatari medievali s’inginocchiavano al cospetto del re. Sorridenti e pronti a finanziarlo, sperando di non pagare gli equi tributi che sarebbero dovuti sugli enormi profitti che incassano. Liberi, per dirla con Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 25 gennaio) di continuare “a raccogliere dati su di noi, a venderli agli inserzionisti, a rastrellare la pubblicità, a violare il diritto d’autore, a mandare sul lastrico i piccoli commercianti”. Esentasse o quasi.
Il denaro muove il mondo, si sa, ma a che prezzo? Al prezzo, per esempio, di un’informazione libera e sana. Mark Zuckerberg ha annunciato la chiusura del programma di controllo dei fatti (fact checking) sui social che controlla, che aveva affidato nel 2016 a soggetti terzi e indipendenti, cioè ad autorevoli specialisti incaricati di valutare la veridicità dei contenuti pubblicati dal gruppo. D’ora in poi saranno gli stessi utenti ad autoregolarsi. Una sorta di libero mercato della notizia vera, falsa e taroccata. A discrezione. È un cambio di strategia che premierà il giro d’affari del network, ma un grave errore per la qualità dell’informazione. È la resa alla logica del business con tanti saluti alla moderazione dei contenuti e alla difesa dalle fake news.
Imitando il rivale Elon Musk, proprietario di X e coinvolto nella nuova amministrazione Usa, il patron di Facebook è salito sul carro del vincitore senza farsi troppi scrupoli, mettendosi a disposizione di Trump che a sua volta vanta un patrimonio di 6,7 mld di dollari e che notoriamente non ama le regole e non sopporta lacci di sorta alla propria azione. Il neo presidente pretende completa libertà per sé anche a danno della legge e della giustizia, come dimostra la grazia concessa ai millecinquecento esagitati che, istigati da lui, hanno preso d’assalto Capitol Hill nel 2021, danneggiando cose e picchiando persone.
La contropartita? Una mano lava l’altra, tra nababbi ci s’intende. Quando l’informazione è concentrata in poche mani, il rischio è di vedere crollare le tutele del cittadino, proprio come temeva Pulitzer. Elon Musk, che Forbes indica come l’uomo più ricco del mondo e che ha finanziato la campagna elettorale di Trump con oltre 250 milioni di dollari, imperversa sui media di tutto il mondo criticando, non si sa bene a quale titolo, le amministrazioni e i personaggi politici che non gradisce: che è un modo di fare politica riservato ai padroni dell’informazione. Ingerendosi arbitrariamente nei fatti interni dei Paesi stranieri.
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