Diecimila giornalisti, videomaker, operatori dei media, insieme a volti noti della televisione e a direttori di importanti testate giornalistiche provenienti da 138 Paesi diversi hanno varcato la Porta Santa della basilica di san Pietro per partecipare all’inizio del Giubileo del mondo della comunicazione. Il primo grande appuntamento, fra gli altri 35 che scandiranno l’Anno Santo, si è tenuto il 24 gennaio, giorno della memoria liturgica di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e dei comunicatori, e si è concluso il 26 gennaio con la celebrazione della messa nella ricorrenza della Domenica della Parola.
A seguito degli interventi di Maria Ressa, premio Nobel per la Pace (2021) di Colum McCann, scrittore e co-fondatore della rete «Narrative 4», e del direttore Mario Calabresi, papa Francesco si è confermato come il comunicatore più efficace e spontaneo, per umanità e ironia: «Nelle mani ho un discorso di nove pagine. A quest’ora, con lo stomaco che incomincia a muoversi, leggere nove pagine sarebbe una tortura». Ha consegnato il discorso al prefetto del Dicastero per la comunicazione, Paolo Ruffini, e ha intrattenuto i partecipanti con parole che ne riassumono brevemente le linee essenziali.
Nel suo scritto, dopo aver ringraziato «tutti gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra», il Santo Padre ha ricordato di non dimenticare «tutti coloro che hanno sacrificato la vita in quest’ultimo anno, uno dei più letali per i giornalisti», e ha chiesto di liberare «tutti i giornalisti ingiustamente carcerati».
Dopo aver ricordato le condizioni difficili in cui operano molti giornalisti, Bergoglio ha sottolineato che la comunicazione «è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è uscita, ma anche incontro con l’altro». Le parole di Francesco portano a riflettere sull’etimologia del verbo comunicare, dal latino communico (cum, con o insieme; munus, dono, ma anche compito), un sostantivo con ampie sfumature semantiche, che dicono molto della sfida e delle responsabilità che spetterebbero ai professionisti della comunicazione. «Quella del giornalista è più che una professione. È una vocazione e una missione, voi comunicatori avete un ruolo fondamentale per la società di oggi, nel raccontare i fatti e nel modo in cui li raccontate». Trasmettere notizie non è l’unico obiettivo, e forse nemmeno il primo in assoluto. Il modo e il metodo, invece, restano il punto su cui oggi occorre riflettere. Per questa ragione Francesco evidenzia che: «il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà». Non meno impellente è la necessità di una «alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza».
Per realizzare ogni cambiamento è necessario il coraggio, qualità che Francesco riprende dal discorso di Maria Ressa. Solo dove esso si propaga, fioriscono speranze di grandi cambiamenti.
Il coraggio (dal latino cor habeo, “avere cuore”), per il Santo Padre, ricapitola tutte le riflessioni delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali, in quanto «i grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati». Pensando all’esperienza di san Paolo, al centro dell’attenzione della Chiesa tanto più il 25 gennaio, ricorrenza liturgica della sua conversione, occorre trovare «la forza per incamminarsi su una strada di cambiamento trasformativo». È possibile trasporre la sua esperienza nelle nostre vite, trovando «le parole giuste per quei raggi di luce che riescono a colpire il cuore e ci fanno vedere le cose diversamente», come fece Ananìa spiegandogli il senso della luce che lo avvolse.
Nel rispetto dello spirito del Giubileo la speranza è motivo e obiettivo di ogni progetto, ingrediente principale anche nello sviluppo di innovazioni nell’ambito della comunicazione, come il Santo Padre ribadisce al termine del suo discorso non letto: «raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Il vostro storytelling sia anche hopetelling».
Raccontare la speranza «significa avere uno sguardo che trasforma le cose, le fa diventare ciò che potrebbero, che dovrebbero essere», e questa strada consente non solo di dire la verità, ma di essere anche veri.
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