Il 1° febbraio 1945 venne emanato il decreto legislativo (passato alla storia come decreto Bonomi, dal nome del Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia rimasto in carica fino a giugno di quell’anno) che conferiva per la prima volta il voto alle donne italiane con almeno 21 anni.
Fu quella la tappa finale di un percorso di consapevolezza e rivendicazione iniziato al termine del secolo precedente, anestetizzato dal Ventennio fascista ma poi riattizzato dal fuoco della Resistenza, tanto da diventare una questione cruciale nelle istituzioni pronte a risorgere dalla dittatura: a farsene carico, trasversalmente, politici di credo opposto, da Alcide De Gasperi a Palmiro Togliatti.
Sono passati 80 anni da primo febbraio di allora: abbiamo chiesto a una rappresentante politica del territorio cosa rimanga oggi dell’importanza di quel passo e dove abbia portato il sentiero inaugurato allora. Si tratta di Rossella Dimaggio, che ricopre la carica di assessora ai Servizi Educativi, al Diritto allo Studio, alle Pari Opportunità e ai Servizi per l’Infanzia del Comune di Varese.
Assessora Dimaggio, una donna e una politica dei nostri tempi ancora si emoziona nel celebrare questo anniversario lontano?
Personalmente mi emoziono moltissimo per due motivi. Primo perché ho conosciuto le testimonianze di alcune donne che hanno avuto l’occasione di votare per la prima volta quel giorno e mi sono immedesimata in loro e in quella sensazione di fare finalmente parte di una nazione: ricordo ancora i racconti della nonna, che per quella occasione andò dal parrucchiere per la prima volta nella sua vita perché doveva andare a votare. E poi quella conquista è un pensiero che cerco di portarmi dietro nella mia attività quotidiana, perché noi tendiamo sempre – nel nostro vivere frenetico – a dare per scontati i diritti. Invece non lo sono: bisogna sempre tutelarli, coccolarli e tenerli vivi. Nel mio piccolo cerco di farlo: è il senso del mio agire politico.
La grande conquista della parità nei diritti politici fu l’incipit di una strada che poi si rivelò ancora lunga e tortuosa: oggi quanto manca alla meta di un’autentica parità di genere?
Non si può negare che siano stati compiuti passi da gigante: in ottant’anni si è fatto quello che non si era fatto in ottocento anni. Ciò non toglie che ancora non si possa parlare di vera parità quando persistono dislivelli di salario, quando per questioni ataviche tutto ciò che riguarda la cura è pensato al femminile e quando – soprattutto – si continua ad agire attraverso dinamiche patriarcali e preconcetti in maniera violenta, non solo fisicamente, nei confronti delle donne. Questi sono i veri problemi da risolvere, attraverso un cambiamento che chiama in causa tutti quei pregiudizi e quegli stereotipi che governano le nostre relazioni.
Nella tornata elettorale del 2022 si è registrato il dato più basso di sempre di affluenza femminile alle urne. Premesso che il problema dell’astensionismo prescinde dal sesso, il “diritto e dovere” dell’articolo 48 della Costituzione è rimasto solo un diritto, pure da snobbare…
Il problema è complesso. Probabilmente questo diritto non viene più agito perché non ci si sente più rappresentati. Alcune dinamiche politiche hanno deluso le donne come gli uomini e tante tensioni non hanno infine portato i risultati che ci si attendeva. Il centro della questione è proprio la rappresentanza coniugata al femminile: si fa rappresentanza di genere quando non si rappresenta solo se stesse, quanto invece tutto ciò che lo sguardo femminile indica. Io faccio politica perché sono espressione di tutte quelle donne che prima di me hanno fatto in modo che io potessi fare politica e perché mi illudo di poter essere colei che apre quel famoso pezzo di soffitto per coloro che verranno dopo di me. Se sono espressione solo di me stessa, non sto facendo politica al femminile.
A ruota della concessione del diritto di voto attivo, un anno dopo il decreto Bonomi, arrivò anche quella del voto passivo, e le donne diventarono eleggibili. Oggi in Italia per la prima volta abbiamo un capo del governo donna: significa che la parità almeno nelle istituzioni è stata raggiunta?
No, ancora no, ma le donne hanno sicuramente fatto un percorso di crescita e autonomia. Ciò che dico sempre alle ragazze che incontro è di studiare e prepararsi il più possibile per le loro professioni, perché l’autonomia e la libertà sono davvero il primo modo per conquistare tutto ciò che è necessario. Non c’è un percorso migliore di un’altro rispetto all’esperienza della donna: conta l’autodeterminazione. Quello che la donna sceglie per se stessa, se la scelta avviene in assoluta libertà, è ciò che va bene per lei. Lavoriamo per questo.
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