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Attualità

ABITANTI DELLO SPAZIO

FLAVIO VANETTI - 24/01/2025

ET come i tardigradi?

ET come i tardigradi?

Potrebbe essere l’uovo di Colombo. Oppure una possibile estensione del rasoio di Occam, principio metodologico secondo il quale la soluzione più semplice, tra quelle possibili, è quella da preferire. Stiamo parlando di una nuova teoria, valutata da un gruppo di scienziati, che sta facendo discutere e che arriva a concludere che gli Alieni potrebbero non aver bisogno di un pianeta per vivere e dare continuità a loro stessi. Insomma: secondo questi ricercatori saremmo troppo banali e scontati in una ricerca che in questo modo dovrebbe/potrebbe estendersi oltre i confini planetari. Il vizio di fondo è chiaro: ragioniamo troppo con una visione troppo “terrestre” della questione, nel senso che ipotizziamo che la vita aliena possa seguire, in un altro contesto, le condizioni ideali che troviamo noi umani sul nostro pianeta, perfetto in termini di gravità, atmosfera, luce solare e di una miscela ricca di carbonio e ossigeno, mattoni decisivi dell’esistenza e della sopravvivenza.

L’articolo del gruppo di scienziati, pubblicato sulla rivista Astrobiology e ripreso da Esquire Italia, ha gettato il sasso nello stagno e ha messo tutto in discussione. Il presupposto è questo: la vita può esistere anche in ambienti privi di un pianeta come base di appoggio? Gli studiosi riportano l’esempio della Stazione Spaziale Internazionale, dove gli astronauti vivono grazie ai rifornimenti che arrivano dalla Terra (sempre che non succeda qualche intoppo che ritardi le partenze per la stessa ISS, come stanno sperimentando di questi tempi quelli che dovrebbero tornare a casa mentre invece sono ancora bloccati lassù…). Ma a questo punto ecco l’interrogativo provocatorio: che cosa accadrebbe se organismi meno complessi trovassero il sistema di vivere nel vuoto spaziale senza bisogno di queste risorse?

Spiega l’articolo: “Alcuni microrganismi come i tardigradi, noti per la loro resistenza estrema, riescono a sopravvivere nel vuoto cosmico, suggerendo che la vita senza un pianeta non sia del tutto inimmaginabile. Una sfida fondamentale per una colonia biologica galleggiante sarebbe quella di mantenere pressione e temperatura adeguate. La pressione potrebbe essere mantenuta da una sottile membrana protettiva, che riuscirebbe a trattenere l’acqua e i nutrienti necessari agli organismi interni. Per la regolazione della temperatura, uno dei modelli suggeriti dai ricercatori è simile alla strategia della formica argentata del Sahara, capace di regolare il calore corporeo riflettendo diverse lunghezze d’onda della luce. In questo modo, una colonia spaziale potrebbe trattenere il calore senza il bisogno di un’atmosfera. Infine, la colonia di organismi dovrebbe poter accedere alle risorse essenziali. Posizionandosi nella zona abitabile di una stella, potrebbe sfruttare la luce solare come fonte di energia, mentre materiali come il carbonio e l’ossigeno potrebbero essere ottenuti da un asteroide vicino. Un sistema di riciclaggio a circuito chiuso tra i diversi organismi al suo interno permetterebbe la sopravvivenza a lungo termine”.

Questo studio ha di sicuro il merito di allargare i nostri orizzonti, metodologici e mentali, creando anche uno scenario – come sottolineano i colleghi di Esquire – per possibili futuri habitat umani nello spazio, in grado di sfruttare sistemi biologici completamente autosufficienti. Ma allo stesso tempo ci sono aspetti apparentemente trattati in modo non esaustivo. Quando si parla di “colonia di organismi” a quali dimensioni ci si riferisce? Stiamo parlando solo di microrganismi e  al massimo di piccoli insetti, visto il riferimento alle formiche del Sahara? E se così fosse non si cadrebbe forse di nuovo, seppure dal lato opposto, nei concetti limitanti che hanno convinto questi ricercatori a lanciare la nuova tesi rispetto alla visione eccessivamente “terrestre” della ricerca di ET? Di più: perché secondo molti scienziati l’Alieno non può assomigliare a noi?

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