Mille (si fa per dire, ma non poi tanto), quando ero ragazzo, a Varese le sale da biliardo.
In centro, frequentatissime e oramai da molto tempo scomparse, quelle del caffè Pini di piazza Monte Grappa, del bar Centrale al Garibaldino e del bar Lombardi nell’odierna via Moro.
In periferia, la Colomba – regno della ‘goriziana’ – a metà viale Borri e il Circolo di Casbeno.
Con Piero Chiara, che cercava invano di insegnarmi quella particolare arte, mi battevo più spesso che altrove al Veratti che, prima del pernicioso restauro, proponeva una bella saletta con due tavoli dal panno verde allineati.
Di quando in quando, capitava che ai frequentatori abituali si unisse un campione le cui evoluzioni, stecca in mano, venivano seguite con ammirata stupefazione.
Di uno tra questi ‘maestri’ divenni sodale.
Conscio del fatto che mai avrei saputo portare a termine, che so?, un ‘cinque sponde’ con altrettanta classe, mi venne l’idea di imitarlo almeno in un particolare suo vestimento.
Indossava, infatti, il desso una camicia che, per quanto si piegasse per il tiro, mai usciva dalla cintura dei pantaloni.
Era una ‘camicia con la coda’, dotata cioè di una prolunga posteriore che faceva passare sotto il cavallo e allacciava allo sparato.
Vestito da allora ‘comme il faut’, occorreva che qualcuno mi prendesse per un vero professionista salvo comprendere con chi aveva a che fare nel momento in cui una ‘messa’ appena un po’ complicata metteva in luce quali davvero fossero le mie scarse capacità.
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