Il 15 settembre del 1608, che era di lunedì, si presentò dal mio notaio di Angera una certa Giacomina, che doveva protestare qualcosa.
La questione, lo scoprii dopo mettendo in filza le carte del Merzagora, era di quelle scandalose.
Leggo come sta scritto: Giacomina del Sasso, figlia di Bernardino, abitante a Cellina, pieve di Laveno, protesta di aver avuto un figlio maschio, non ricorda quanto tempo fa, da frate Raffaello di Sabbioneta, dimorante a Santa Caterina del Sasso, nel monastero sul Lago Maggiore.
La donna giurò ponendo le mani sul Santo Vangelo, davanti a me notaio. Atto nella corte della casa di Gio. Ambrogio Merzagora, detto del fornaro, sita in Angera.
Osservo che certi atti venivano redatti non nello studio di Angera ma era il notaio che portava in giro le sue carte ed il suo sigillo. Vi ricordo l’atto di Pallanza. Più di una volta andammo a Luino, nel giorno di mercato, che era di mercoledì come ancora oggi, per fare degli inventarii.
Mi chiedo, senza voler sembrare un Catone, ma se non ricorda da quanto tempo, era proprio sicura del fatto? O era facile a darsi da fare? Ma, ecco, ci sono dei testimoni.
Tre testimoni, l’ultimo dei quali, un certo Meneghino Arena di Andrea di Reno, pieve di Leggiuno.
Interrogato [il Meneghino] se avesse mai visto insieme frate Raffaello e la Giacomina del Sasso [visto l’argomento potrei scrivere del Sesso] rispose che sì, li avevo visti più volte intanto che andavo in campagna per i fatti miei.
Interrogato se i due si fossero trattenuti in maniera poco conveniente insieme. Rispose che, un giorno della primavera prossima passata io stavo lavorando attorno alle piante di vite [interessante riguardare le terre attorno a Reno e Santa Caterina lavorate a vite, quindi capaci di produrre del vino] della mia pezza di terra [è dal Medioevo che si scrive pecia terrae, pensate un po’], quando ho visto venire per la strada, che correva, una donna che dopo ho conosciuto era la Giacomina. Le veniva dietro un frate, pure di corsa, con la tonaca tenuta su, certo per correre meglio. La Giacomina, la donna, ogni tanto si voltava indietro come per vedere se quello arrivava, ma non era certo spaventata [formidabile sceneggiatura, con raffinato tratto di psicologia femminile]. Là dove c’è un prato vicino alla curva della strada, con una bella pianta di castagno, la donna s’è nascosta; il frate che aveva visto tutto, l’ha trovata subito. Io, che guardavo tutto con attenzione, mi sono tirato dietro alla siepe di more, per andare più vicino che era possibile. Ho visto che il frate la carezzava, poi la donna è andata giù, per terra, poi è scomparsa sotto la tonaca del frate che sembrava una grande campana, intanto che lui era in piedi, poi anche lui è andato giù, su e giù.[Piero Chiara l’avrebbe condita ancor di più e fatta diventare un episodio di uno dei suoi film, con Lattuada].
Il mio notaio, scrupoloso come sempre, volle accertarsi che l’uomo fosse veramente il frate e chiese al Meneghino:
Interrogato se quell’uomo era sicuramente frate Raffaello e non un altro con una veste rubata [ questa è una finezza degna di un Maigret] rispose, certo che no, signor notaio, che io frate Raffaello lo conosco bene anche di dietro [prudenza|]. E se anche era disteso ho visto bene i suoi sandali con i piedi scalzi. Ma se anche non lo riconoscevo per conto mio, l’avrei saputo dalla Giacomina, che a un certo punto le ho sentito dire: “Raffaello…Raffaello”.
Interrogato che cosa hanno fatto dopo che erano stati per terra l’uno sull’altro; rispose che, infine si levarono e si salutarono, mentre la Giacomina prese la strada per il paese, frate Raffaello andò dalla parte del convento.
Questa è la storia, documentata. Mi piace sapere che il figlio nato da quell’amplesso scampanato venne alla luce, visto che la vicenda protestata parlava di qualche anno fa. Nei registri dei battezzati di quegli anni c’è sicuramente il nome, il cognome…degli Esposti, o… del Frate.
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