Dalle parole ai fatti. La speranza è accompagnata da iniziative e da un sogno. La speranza è una nuova vita con “recidiva zero” per i carcerati che trovano un lavoro, obiettivo annunciato dal Cnel insieme con il ministero della Giustizia lo scorso aprile.
L’iniziativa è quella avviata nel carcere di Busto Arsizio con la Grassi Spa, l’azienda tessile di abbigliamento tecnico che fa capo a Roberto Grassi – che è pure il presidente di Confindustria Varese, un presidente che sa guardare lontano, nonché Vicepresidente nazionale di Confindustria Moda – e riguarda la creazione di un laboratorio per la realizzazione di prodotti di abbigliamento previa formazione di un gruppo di dodici detenuti, due o tre dei quali saranno assunti dall’azienda. Il sogno è quello di creare un “polo d’eccellenza” che possa soddisfare le esigenze di vestiario non solo del carcere locale, ma potenzialmente anche di altre carceri italiane. La prospettiva è che altre aziende possano seguire l’esempio, condividere l’utilizzo del laboratorio e allargare l’offerta.
Nel 2025 l’azienda di Lonate Pozzolo compie i 100 anni di attività, con oltre 1400 dipendenti in otto siti produttivi: dallo scorso anno ha la qualificazione di Società Benefit, che quindi nello statuto prevede tra i suoi scopi l’attenzione al sociale e all’ambiente. Insomma, non un’iniziativa sporadica, ma un modo per legarsi ancor con il territorio. Già, perché “il carcere non è nel territorio ma è il territorio”, come dice Sergio Scaltritti, direttore della Formazione dell’ACOF Olga Fiorini, che cura la prima fase del progetto. I corsi sono già partiti, con la partecipazione di detenuti senza alcuna precedente esperienza. A febbraio verranno selezionati quelli assunti dalla Grassi. A tutti gli altri verrà rilasciato un diploma di partecipazione, un utile viatico, e un bagaglio di competenze, per una vita fuori dal carcere.
L’obiettivo è chiaro e lo conferma il prefetto di Varese Salvatore Pasquariello, forte promotore del progetto: “i dati ci dicono che mentre la recidiva, cioè la probabilità di tornare in carcere è del 70 per cento per chi è già stato condannato, essa crolla al 2% per chi ha maturato un’esperienza di formazione e lavoro in carcere”.
Il carcere di Busto Arsizio, aperto nel 1984 ha un problema che non sorprende: il sovraffollamento. Progettato ufficialmente per 240 posti, “ha un numero di detenuti oscillante tra i 410 e i 430, ma abbiamo toccato anche i 445: un problema reale, che è comune tuttavia a tutto il sistema carcerario italiano”, riconosce la direttrice Maria Pitaniello, che spiega anche come la scelta dei partecipanti al progetto del laboratorio tessile sia avvenuta “sulla base di parametri oggettivi stabiliti e valutati da una commissione cui partecipano anche rappresentanti dei detenuti e delle organizzazioni sindacali”. Allo stato attuale, osserva la direttrice, un carcerato su tre, in totale 140, ha un’attività lavorativa, tra occupazioni interne, tra cui un laboratorio di falegnameria, e lavorazioni per committenti esterni che vedono una quarantina di detenuti impegnati in lavorazioni di cioccolateria. Nel 2024 sono stati organizzati 23 corsi di formazione con un impegno di 225 detenuti. “Formazione e lavoro costituiscono il principale strumento per restituire dignità e offrire opportunità di riscatto alle persone detenute, così come previsto dalla Costituzione.
“I problemi logistici ci sono, ma gli spazi si trovano”, spiega la dirigente aggiunta Rossella Panaro, che guida il corpo locale della Polizia Penitenziaria e spiega come, a differenza di quanto si potrebbe pensare, sia “più complesso avviare delle attività in una Casa Circondariale, come quella di Busto Arsizio, dove vi sono detenuti in attesa di giudizio o, se condannati in via definitiva, assoggettati a una detenzione non superiore ai 5 anni, rispetto a una Casa di Reclusione, dove per detenuti di più lungo periodo è più agevole disporre di agevolazioni e permessi di legge”.
Il lavoro nelle carceri è del resto regolata dalla legge che, già con la L. 354 del 1975 assicura al condannato la possibilità di un’occupazione, mentre ulteriori norme stabiliscono un trattamento economico pari a due terzi del contratto di lavoro nazionale nel caso di attività svolta per l’amministrazione carceraria e al 100% in quello per committenti esterni, ovvero imprese o cooperative sociali. I datori di lavoro beneficiano con la Legge Smuraglia (193/2000) di un credito d’imposta e della defiscalizzazione al 95% degli oneri contributivi.
Il seme è gettato, anche se per ora è una pianticella: Il corso di 140 ore per la formazione, che comprende l’apprendimento dell’uso delle macchine (sei macchine da cucire e tre macchinari e tavoli per il taglio) è già avviato e i primi riscontri, a sentire anche la viva voce dei partecipanti, sono positivi. Si parte con la realizzazione di borse di tela per arrivare a un primo kit per i detenuti che entrano in carcere senza cambio indumenti. Roberto Grassi è prudente ma fiducioso: “incominciamo a consolidare i primi passi e poi sarebbe bello poter espandere questa esperienza”. La speranza è che il presidente di Confindustria Varese sia davvero contagioso.
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