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Opinioni

UN PROGETTO, DUE ESEMPI

ROBI RONZA - 17/01/2025

sudtirolUn governo “che governi, cioè che abbia una durata almeno quinquennale” deve porre mano a una riforma generale della macchina amministrativa dello Stato perché “una pubblica amministrazione invecchiata e contraddittoria, come quella italiana (…) può lentamente spegnere lo spirito d’iniziativa e danneggiare il Paese”: così ha giustamente scritto sul Corriere della Sera Sabino Cassese, autorevolissimo ma poco ascoltato grande esperto della materia.

Il suo appello si rivolge evidentemente al governo in carica, che ha appunto tutti i numeri per durare almeno cinque anni. Siccome nel mio piccolo la penso come lui, e anch’io ritengo che una tale riforma sia d’importanza preliminare, come sanno i lettori abituali di questo sito, voglio qui spezzare una lancia a tale riguardo.
Nel suo editoriale, dal titolo «Cambiare lo Stato in 4 punti», Cassese definisce come segue i quattro campi nei quali a suo avviso occorrerebbe intervenire “per rendere l’operato dei poteri pubblici più efficace”: straordinaria e ordinaria amministrazione, freno e acceleratore, centro e periferia, lealtà e fedeltà.
Primo, straordinaria e ordinaria amministrazione: “in questi ultimi cinque anni”, osserva Cassese, “ai compiti pubblici ordinari si sono aggiunti compiti pubblici straordinari, prima per contrastare la pandemia, poi per la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza” che hanno richiesto (…) organi «ad hoc», procedure nuove”. Occorre adesso decidere se ritornare ai metodi tradizionali, oppure avvalersi “di queste nuove esperienze per ammodernare, semplificare, accelerare” l’intera macchina amministrativa dello Stato.
Secondo, freno e acceleratore: nell’amministrazione statale si sono negli ultimi anni intrecciate “due tendenze contraddittorie, l’una che richiede più efficienza ed efficacia dell’azione pubblica, l’altra che richiede più trasparenza e maggiori controlli.

La seconda tendenza si è però scontrata con la prima, perché più organismi di controllo e una più intensa vigilanza hanno rallentato, direttamente o indirettamente l’azione pubblica”. Basti pensare che i pubblici amministratori in Italia sono sottoposti al giudizio di ben quattro controllori, i giudici amministrativi, contabili e penali, più l’autorità anti-corruzione”. Occorre evidentemente ridurre e semplificare questo apparato di controllo che, così come è, finisce per rallentare in misura insopportabile l’azione amministrativa.
Terzo, centro e periferia: qui di fronte a problemi emersi nell’attuazione dell’autonomia alle tendenze neo-centraliste le forze autonomistiche non hanno saputo far capire i vantaggi per i cittadini dell’autogoverno regionale come viene delineato nella Costituzione. “Si apre anche qui un bivio: fare un passo indietro, ricentralizzando funzioni trasferite fuori dello Stato, oppure continuare sul percorso autonomistico ma misurando la capacità amministrativa delle periferie (…)”.
Quarto, lealtà e fedeltà: si tratta di decidere se arruolare il personale dello Stato sulla base del criterio di lealtà, oppure di fedeltà a chi di volta in volta è al governo “perché una classe dirigente amministrativa leale, ma alla quale non è richiesto un attestato di fedeltà, imparziale e pronta a servire la politica e non i politici, può farlo in modo più efficace di persone scelte per la loro «partisanship»”.
Per parte mia sono del tutto d’accordo riguardo ai due primi punti. Per quanto concerne il terzo mi sembra che, più che misurare la “capacità amministrativa delle periferie”, sia meglio offrire a tutte le Regioni piena autonomia /(cfr. Autonomia differenziata. Calderoli e la necessità di non prendere il gatto per la coda, 18 dicembre 2024) lasciando che siano i loro elettori a misurarla ed a premiare chi ne è più capace. Infine, con riguardo al quarto punto, mi domando se non si debba tener conto anche del sistema in atto negli Usa, dove tutta la dirigenza della macchina amministrativa federale è di nomina politica.
Oltre a tutto questo ritengo però di importanza decisiva smettere di rimestare nel calderone della prassi e della tradizione amministrativa italo-francese, cui ci siamo sin qui sempre ispirati, e andare a vedere che cosa c’è di buono cui ispirarsi in altre prassi e tradizioni amministrative, tra cui innanzitutto quella germanica. Abbiamo in proposito due grandi facilitazioni: da un lato la legislazione federale svizzera, di chiara impronta germanica, è tutta accessibile in lingua italiana, insieme a quella del Ticino e dei Grigioni, i due Cantoni in tutto o in parte di lingua italiana; dall’altra abbiamo la risorsa entro i nostri confini costituita dai giuristi sud-tirolesi, di lingua materna tedesca e inoltre ovviamente esperti conoscitori della situazione della macchina amministrativa italiana.
www.robironza.wordpress.com

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