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Chiesa

SEGNI CONCRETI

PIETRO CARLETTI - 10/01/2025

giubileoL’inizio dell’anno Santo della speranza è stato segnato da un evento senza precedenti: il Papa ha spalancato per la prima volta nella storia la Porta Santa di un carcere, l’istituto penitenziario di Rebibbia. È la seconda ad essere stata aperta e la quinta fra tutte, se si considerano le quattro basiliche papali di Roma. Solo apparentemente non è un luogo da considerarsi sacro: «il carcere è una basilica come San Pietro e le altre», ha detto Bergoglio. Il gesto compiuto da Francesco non è una sorpresa, ma la realizzazione di un preciso proposito espresso nella Spes non confundit. Bolla di Indizione del Giubileo Ordinario dell’anno 2025: «per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza, io stesso desidero aprire una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con un rinnovato impegno di vita».

A partire dalla frase del Papa, è possibile soffermarsi sul «messaggio centrale del Giubileo», segnalato da Francesco con le parole di san Paolo: «Spes non confundit», «la speranza non delude» (Rm 5,5). Ognuno è invitato a farsi pellegrino per incontrare il Signore Gesù, sia giungendo a Roma, pratica tipica di ogni evento giubilare che «favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità», sia celebrando l’evento nelle Chiese particolari.

Il proposito è di «rianimare la speranza», seconda fra le tre virtù teologali (fede, speranza e carità), ma connessa alle altre due da un «dinamismo inscindibile». «Abbondare nella speranza» (Rm 15,13) è l’obiettivo e il percorso che consente di rendere la fede gioiosa e la carità entusiasta.

Non si esauriscono qui i prodigi della speranza. La vita di ciascuno è un intreccio di gioie e di dolori, ma san Paolo evidenzia che la «tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza» (Rm 5, 3-4). Speranza e pazienza sono compagne, ma la seconda, nell’epoca di internet, dunque del «qui e ora», soffre non meno della prima. Essa ha la qualità di tenere viva la speranza e di consolidarla, di renderci più attenti al bene presente intorno a noi, di pensare al futuro con «una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere».

Francesco, però, non si limita a parlare della necessità della speranza, ma invita ciascuno a compiere segni concreti per portarla nei luoghi in cui si avverte maggiormente la sua mancanza.

Gli appelli del Papa cominciano con il grido alla pace, non solo come assenza di guerra (già sarebbe molto), ma anzitutto come condizione in cui «la persona umana è in armonia con sé stessa, in armonia con la natura e in armonia con gli altri». Dire sì alla vita è il secondo appello per combattere contro la denatalità, riconoscendo che il calo delle nascite è sintomo di scarsa speranza per il futuro, di timori per la mancanza di adeguate tutele sociali e di deboli garanzie lavorative.

Anche i detenuti, gli ammalati, i migranti, i profughi e i «miliardi di poveri che spesso mancano del necessario per vivere» sono inclusi fra le pagine della Bolla. Ognuno di loro necessita di cure e di attenzioni, di sollecitudine per seminare la speranza di una possibilità di riscatto e di perdono, di vicinanza e di sostegno per rendere attuabile il miglioramento delle condizioni di vita di molti.

Gli spunti sono precisi e invitano a mettersi in cammino sulle orme di Gesù, che vincendo la morte è la prima speranza per ogni cristiano. Nei Vangeli Egli è spesso in viaggio, si sposta di luogo in luogo impolverandosi e facendosi prossimo agli ultimi, facendo proprie le parole del profeta Isaia: «il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore» (Is 61, 1-2).

Il modello resta lui, e la speranza una virtù concreta e attiva, desiderosa di esprimersi in questo anno Santo attraverso le mani di ciascuno di noi.

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