Anche per i miti e le leggende il tempo trascorre inesorabile. Dino Meneghin è sicuramente un mito, una leggenda del nostro basket, il giocatore in assoluto più iconico.
Tra pochi giorni, il 18 gennaio, Dino compirà 75 anni ed è una buona ragione per ricordare ciò che ha rappresentato e che ancora rappresenta questo personaggio per il mondo della palla a spicchi e per lo sport in generale, a Varese, naturalmente, ma anche a livello nazionale e internazionale.
Eh sì, è passato un bel po’ di tempo da quel gennaio 1963 in cui Dino Meneghin mette piede per la prima volta su un campo di basket. Accade nella palestra della scuole elementari “Giovanni Pascoli” di viale Ippodromo, dove la Ignis tiene una leva giovanile diretta dal professor Nico Messina. Messina ha notato Meneghin per la sua statura qualche settimana prima, in occasione dei campionati studenteschi di basket: Dino, che a malapena sa che cosa sia la pallacanestro, è lì a tifare per i compagni della scuola media “Dante Alighieri”, che frequenta, e il professore gli chiede semplicemente di fare una corsetta, con il cappotto addosso, giusto per valutare la sua mobilità. Abile e arruolato: subito dopo le vacanze natalizie, Meneghin comincia in quella palestrina di viale Ippodromo, praticamente da zero, l’avventura che segnerà la sua vita.
Inutile dire che il combinato tra le cure del professor Messina, una fisicità semplicemente eccezionale, un talento naturale solo da sgrezzare e l’impegno sempre profuso da Dino in dosi più che massicce consente di bruciare le tappe. Nella stagione 1965-66 il debutto in serie B, in prestito, con la maglia dell’Algor Robur et Fides sotto la guida sapiente di Gianni Asti; un anno dopo il ritorno alla Ignis, in serie A, con i primi punti realizzati il 27 novembre 1966 contro la Fargas Livorno, e poi con il primo successo, sia pure non da protagonista, con la conquista della Coppa delle Coppe nella doppia finale con il Maccabi Tel Aviv.
L’anno successivo a Meneghin, solo “aggregato” alla prima squadra nel campionato precedente, viene già affidato un ruolo di rilievo, quello di cambio del pivot titolare che è Enrico Bovone; proprio in quella stagione, a 21 anni, Bovone esplode rivelandosi giocatore davvero fortissimo. Non mancano invece ovvie difficoltà per l’imberbe Dino, spesso incapace di controllare la sua irruenza e di tenere a bada la sua esuberante fisicità. Ma a fine stagione accade che Bovone, sul quale l’Ignis Varese scommette già per il decennio a venire per il ruolo chiave di pivot, si fa ammaliare dalle sirene della All’Onestà, ambiziosa seconda squadra di Milano, si impunta e se ne va. Che fare? Quando è il momento, nell’estate 1968, tocca al nuovo g.m. Giancarlo Gualco e a Nico Messina, divenuto allenatore a metà campionato dopo l’esonero di Vittorio Tracuzzi, prendere una decisione: ingaggiare un centro straniero, come fanno praticamente tutte le altre squadre (giova ricordare che all’epoca c’è un solo giocatore straniero per squadra), o dare fiducia al diciottenne e ancora acerbo Meneghin? La scelta, certamente rischiosa, si rivela vincente: accanto alla “guida” Flaborea, Dino regge il confronto con tutti i pivot avversari, in gran parte americani, e l’Ignis contro ogni pronostico vince la scudetto del 1969 e, per la prima volta, anche la Coppa Italia. Per Dino Meneghin è la consacrazione ed è anche l’inizio di una interminabile sequenza di successi.
Fa rumore, nel 1981, il suo trasferimento da Varese a Milano, dove resta per otto anni, prima di trascorrere tre stagioni a Trieste e chiudere la sua inimitabile carriera nuovamente con la maglia di Milano nel 1994, a 44 anni.
Una data particolarmente importante per Dino Meneghin è il 14 ottobre 1990: quel giorno, con la maglia della Stefanel Trieste, affronta a Masnago la Cagiva Varese che schiera suo figlio Andrea, appena sedicenne.
Risale al 1969 il suo debutto con la Nazionale maggiore, con la quale colleziona poi 272 presenze (secondo soltanto a Pierluigi Marzorati) con 2847 punti realizzati. In azzurro partecipa a quattro Olimpiadi (Monaco 1972, Montreal 1976, Mosca 1980 e Los Angeles 1984), a due Mondiali (Lubiana 1970 e Manila 1978) e a otto Europei (Napoli 1969, Essen 1971, Barcellona 1973, Belgrado 1975, Liegi 1977, Torino 1979, Praga 1981 e Nantes 1983), conquistando l’oro agli Europei del 1983, l’argento alle Olimpiadi del 1980 e il bronzo di nuovo agli Europei del 1971 e del 1975.
Scorrere il suo palmares è come ascoltare una musica dolcissima: 12 scudetti (7 a Varese e 5 a Milano), 6 Coppe Italia (4 a Varese e 2 a Milano), 7 Coppe dei Campioni (5 a Varese e 2 a Milano), 2 Coppe delle Coppe (a Varese), una Coppa Korac (a Milano, battuta Varese in finale), 3 Coppe Intercontinentali (2 a Varese e una a Milano).
In serie A gioca per 28 stagioni disputando 836 partite, nessuno come lui, segnando 8580 punti.
E il suo curriculum da dirigente è quasi di identico spessore. Citiamo solo alcune delle cariche da lui rivestite: è stato presidente della Federazione Italiana Pallacanestro dal 2009 al 2013 e attualmente ne è presidente onorario. Nel 2010 è stato eletto nel board di Fiba Europe e nel 2013 vicepresidente di Fiba Europe. Nel 2003 è entrato a far parte della Hall of Fame di Springfield, primo e unico giocatore italiano ad avere questo onore e secondo italiano in assoluto dopo Cesare Rubini. What else?
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