Due studi a guida ETH di Zurigo dimostrano che lo spostamento delle masse dai poli verso l’Equatore ha effetti sulla rotazione terrestre di cui satelliti, Gps e missioni spaziali non possono non tenerne conto. E su questo decisivo è lo scioglimento dei ghiacciai ai poli e sulle alte montagne.
Grandi masse si spostano e con esse tutta la Terra “barcolla” un po’. Decenni fa sembrava impossibile che le azioni umane potessero modificare il clima in maniera così drastica come stiamo sperimentando in questi ultimi anni. Eppure, il riscaldamento globale indotto dall’uomo e lo scioglimento dei ghiacci stanno modificando in maniera misurabile la durata del giorno e persino l’asse terrestre. Due studi pubblicati da un team di ricercatori guidato dal professor Mostafa Kiani Shahvandi del Politecnico federale (ETH) di Zurigo dimostrano che, a lungo termine, è proprio quello che sta accadendo.
Dobbiamo figurarci la Terra come una pattinatrice che ruota su sé stessa, velocemente, mentre tiene le braccia distese e unite sopra la propria testa. Quando le separa e le allontana dal corpo, la velocità della piroetta rallenta. È semplice fisica, spiegata con la legge della conservazione del momento angolare. Con il nostro Pianeta accade la stessa cosa. Negli ultimi decenni lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari ha portato l’acqua a confluire negli oceani e a redistribuirsi verso l’Equatore. E come le braccia della ballerina, tutta questa massa si è allontanata dall’asse centrale di rotazione (che passa per i poli). Il risultato è che la Terra ruota su sé stessa più lentamente. Il calcolo nello studio porta a considerare che la durata del giorno terrestre, durante il XX secolo, ha perso da 0.3 a 1 millisecondo al secolo, ma ha accelerato fino a 1,33 millisecondi al secolo dal 2000.
La questione riguarda da vicino anche le nostre Alpi. I ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri sono oggi immersi in un clima che è incompatibile con la loro esistenza. Non essendo più capaci di conservare la neve registrano inevitabilmente bilanci negativi, avviandosi all’estinzione, come si sta verificando per il più grande ghiacciaio italiano dell’Adamello.
È alla fine dell’estate che si fanno i rilievi per determinare la fusione e l’arretramento dei ghiacciai, per comprendere quanto è stata negativa l’annata. Nel 2024, si è certificata l’estinzione del ghiacciaio di Flua, sul Monte Rosa, e preconizzato che quello della Marmolada non esisterà più nel 2040.
Per fortuna l’estinzione ancora non riguarda tutti i ghiacciai dell’arco alpino, ma solo quelli al di sotto dei 3.500 metri sul livello del mare. Ed è questo il motivo per cui è ancora possibile, in alcuni casi, avere dei bilanci positivi o neutri.
Il tema reale, emerso, è che non c’è più un dialogo costruttivo tra i ghiacciai e il clima, per cui quelli al di sotto dei 3.500 metri non sono più capaci di conservare la neve e inevitabilmente hanno bilanci negativi, non producendo nuovo ghiaccio
I ghiacciai alpini, però, sono importanti, perché trattengono storie locali, magari più circoscritte nel tempo ma dettagliate: ad esempio, abbiamo potuto ricostruire la storia dell’inquinamento atmosferico in Europa negli ultimi secoli e le variazioni del clima negli ultimi millenni e anche l’impatto delle attività umane attraverso la chimica del ghiaccio.
Purtroppo permane un negazionismo che fa breccia nel mondo politico o dirigenziale, guidato dagli interessi economici che stanno dietro alla transizione energetica, all’esigenza di un ripensamento del sistema economico globale. Dal punto di vista elettorale, poi, i cittadini sono più contenti quando si sentono dire dai politici che va tutto bene e che non c’è bisogno di profonde trasformazioni.
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