Alla mia età si tende a ricordare i Natali dell’infanzia, quando la neve di bambagia sull’abete illuminato e le pecorelle che si abbeveravano nello specchio-laghetto ci lasciavano incantati di fronte a una magia che ai nostri occhi diventava realtà.
Ma se col pensiero mi spingo un po’ più avanti, a ricordare l’età dell’adolescenza, mi rendo conto che già mi facevo domande che ancora oggi non hanno risposta: per quale motivo ci si deve ritrovare tra parenti a mangiare più del necessario e a scambiarsi doni che ormai sono quasi sempre inutili? Perché, se si è credenti, non limitarsi alle celebrazioni religiose?
Certo, la festività religiosa del 25 dicembre si è inserita su quella pagana celtica del solstizio d’inverno e su quella romana dei Saturnalia e quindi unisce elementi religiosi e culturali differenti. Ma questo non mi faceva capire il motivo per cui persone che durante l’anno non sentivano l’esigenza di incontrarsi dovessero farlo a Natale, solo perché, per casualità, si erano ritrovate legate da una parentela naturale o acquisita.
La domanda nasceva dal fatto che, dopo una lunga serie di diverbi su dove ci si dovesse riunire – se a casa dell’uno o dell’altro -, quando finalmente ci si accordava e ci si sedeva alla stessa tavola, gli adulti finivano inevitabilmente col discutere, in toni sempre più accesi, su argomenti vari, soprattutto politici, anche se poi non avevano idee tanto differenti. Segno, a mio parere, che non fossero proprio felici di stare insieme e che utilizzassero la politica per manifestare l’insofferenza alla reciproca vicinanza. E allora, perché ripetere ogni anno la stessa fatica?
C’è poi il caso del parente rimasto solo perché i suoi familiari più stretti sono morti. E dunque come fai a lasciarlo a casa a festeggiare il Natale in solitudine? Anche se è pesante come un macigno devi invitarlo, altrimenti i sensi di colpa non ti faranno stare tranquillo.
Ci furono anni in cui, ormai adulta, decisi di allontanarmi dall’ipocrisia del Natale andando in vacanza. Credevo di trovarmi da sola in alberghi vuoti, invece eravamo moltissimi ad avere scelto la fuga. Volevamo tutti evitare di essere il parente di cui sopra.
La ricorrenza ha perso ogni sacralità cristiana o pagana. E’ rimasta solo la sacralità commerciale, che si esprime nel rito degli acquisti, nell’accensione sponsorizzata delle decorazioni luminose, pallido ricordo di quella che un tempo era la celebrazione del solstizio d’inverno. Ed è rimasta l’abitudine della grande abbuffata, di cui spesso ci si lamenta senza avere il coraggio di farlo apertamente.
Eppure a Natale dovrebbe sopravvivere almeno la sincerità.
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