Altro che “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, il romanzo scritto da Carlo Emilio Gadda tra il 1946 e il 1957. La vicenda dei ristorni dei frontalieri sta infiammando la politica varesina e pure comasca. Anche perché aleggia forte il sospetto di una manovra spiccatamente politica. Riassumiamo i fatti: in dirittura d’arrivo, alla Legge Finanziaria viene proposto un emendamento da parte governativa, ma con forte ispirazione leghista, che riporta dal 4 al 3 per cento dei residenti la soglia al di sopra della quale i trasferimenti frutto dei ristorni fiscali dei frontalieri sono assegnati direttamente ai Comuni e non alle province. A venire affondata è in particolare la “corazzata Varese”, che vede sparire con un tratto di penna 4 milioni di euro annui.
Facciamo un passo indietro, anzi due. Gli accordi fiscali tra Italia e Svizzera prevedevano e prevedono che i frontalieri (almeno quelli assunti prima del 17 luglio 2023: quindi quasi tutti) non versino all’Erario italiano nemmeno un centesimo di imposte. Le pagano solo in Svizzera. Con una non trascurabile differenza: le tasse in Svizzera sono più basse non solo, ma anche, perché la sanità non è pagata con le entrate fiscali, come in Italia, ma con un costosissimo balzello a parte. la “cassa malati”, che pesa sui 350-400 franchi al mese a testa, indipendentemente dal reddito.
Gli accordi bilaterali prevedono anche che il 38% del gettito fiscale dei frontalieri italiani (sono 32 mila per la sola provincia di Varese) sia girato allo Stato Italiano, che a sua volta lo rigira alle Regioni interessate (quelle di confine), che poi se lo gestiscono, ognuna con regole sue nella ripartizione. La Regione Lombardia distribuisce poi quest’importo ai Comuni di frontiera (quelli entro i 20 km) e alle comunità montane. Con un’eccezione: i comuni in cui il numero dei frontalieri supera una certa percentuale dei residenti, ricevono direttamente i loro fondi. Così, per esempio, a Ponte Tresa arriva la bella cifra di 1,6 milioni di euro, ad Arcisate 1,4 milioni, a Viggiù 1,3 milioni, a Induno oltre 800 mila, a Porto Ceresio quasi 700 mila e così via. Luino e Malnate capeggiano la lista con ben 2,7 milioni e 1,8 milioni. Anche comuni a sud di Varese come Vedano Olona e Venegono superiore sono tra i beneficiati con cifre attorno al mezzo milione ciascuno. E Varese? Il capoluogo ha “solo” 2800 frontalieri e quindi non raggiunge la soglia del 4%, però dallo scorso anno ha beneficiato di una nuova normativa che abbassava la soglia 3% e questo ha permesso al Comune di “strappare” un assegno di circa 4 milioni. Non poco.
Il nuovo innalzamento della soglia farebbe sparire questi soldi, mentre non sarebbero toccati altri centri paragonabili a Varese, come Como (dove la somma è sugli 8 milioni), che ha una percentuale di frontalieri decisamente più alta. Inevitabile quindi, applicando il principio andreottiano secondo cui “a pensar male si fa peccato ma spesso si azzecca”, sospettare il dispetto politico leghista verso l’amministrazione di centrosinistra varesina. Tanto più che la misura viene adottata senza alcun dibattito parlamentare e locale. Secondo la proposta formulata, queste risorse dovrebbero essere utilizzate non tanto per opere e servizi connessi con il frontalierato quanto per fronteggiare crisi aziendali sul territorio, cosa non prevista dagli accordi itali- svizzeri.
C’è però un’altra spiegazione e occorre fare un salto indietro a venerdì 15 novembre: Nel consiglio comunale riunito straordinariamente presso la sede della provincia a Villa Recalcati si discute della crisi Beko e degli esuberi previsti a Cassinetta di Biandronno. Dalla Lega giunge la proposta di utilizzare i ristorni dei frontalieri per far fronte alle esigenze dei lavoratori. Il sindaco Galimberti ha gioco facile a ricordare che le norme vigenti escludono tale ipotesi (almeno il 50% dei fondi devono essere investimenti e comunque la spesa dovrebbe riguardare esigenze legate al frontalierato), così che la mozione viene respinta. Da qui la contro-richiesta leghista a premere perché la normativa sia modificata. Cosa che con l’emendamento governativo avviene, ma a spese non di tutti i comuni, perché a pagare sarebbe in primo luogo Varese. Le cronache di questi giorni diranno come alla fine sarà articolata la misura governativa in una legge finanziaria arrivata giusto sotto il cenone di Capodanno.
Resta comunque una considerazione: i posti in bilico alla sola Beko a Cassinetta sono quasi 900: considerando carico fiscale e contributivo vuol dire che il “sacrificio” di 4 milioni dell’intero Comune di Varese coprirebbe l’equivalente di un mese di stipendio o di un paio di cassa integrazione. Resta l’amaro in bocca di una misura che, comunque, sembra il contrario di ogni principio di autonomia o anche solo di partecipazione decisionale sul territorio. Per non parlare degli accordi bilaterali italo – svizzeri. Ma nel marketing politico e soprattutto elettorale, si sa, queste considerazioni rischiano di passare in secondo piano.
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