“Che cos’è un paese?”, si domanda Renata Ballerio presentando il nuovo numero della rivista Menta e Rosmarino nello strapieno Auditorium di Gavirate. “Il paese – si risponde – è la comunità che non ci fa sentire soli, è il luogo che costruisce relazioni e favorisce quel tipo di amicizie che sono in grado di dare un senso alla nostra vita”. L’identikit tracciato dalla ex docente di lettere e dirigente scolastica, oggi biografa di importanti letterati che hanno respirato l’aria di paese in provincia di Varese (“Guido Piovene, scrittore e inviato speciale a Induno Olona”, Macchione, 2022), esprime esattamente il senso e la missione di Menta e Rosmarino: che è coltivare la memoria, le tradizioni e il sentimento di appartenenza dei lettori.
Un pizzico di scaramanzia non guasta. Il numero 53 dell’edizione che viene messa ora in distribuzione significa per la scienza dei numeri “successo duraturo” e la chiave con cui la Redazione prova a conquistarlo è il racconto sentimentale del passato, talvolta rimpianto, oppure fonte di lamentela, causa di recriminazione e di protesta. Come nell’editoriale di Amerigo Giorgetti che polemizza: “Cortili con edifici diroccati, case fatiscenti nelle pubbliche piazze, impianti agricoli abbandonati, è chiaro che non conviene risanare un centro storico, mentre si guadagna assai a devastare e a cementificare la campagna. I paesani doc sono coloro che soffrono quando si progetta una strada che taglia in due l’unica campagna rimasta intatta”.
Vecchie foto di Caldana e della piazza di Sant’Andrea geo-localizzano lo sfogo. Sì, perché un giornale è pur sempre uno strumento di dibattito pubblico, di controllo dell’operato di chi governa e all’occorrenza di denuncia. Anzi è proprio questa la funzione più nobile del giornalismo e Menta e Rosmarino lo sa bene. Sotto il titolo “L’incoscienza di una certa classe politica” Alberto Morandi riflette in linea generale: “Richiamando il grande filosofo Norberto Bobbio, il cardinale Ravasi, umanista tra i più colti al mondo, ammoniva: “La nostra democrazia è minata e i nostri rappresentanti mi fanno l’effetto di minatori incoscienti che si mettono a fumare sigarette in una miniera piena di grisou. L’impreparazione, la superficialità e l’incoscienza di una certa classe politica rappresentano un rischio per l’intera nazione”.
Il sale di un giornale è porsi delle domande, cercare le risposte valide ai problemi e provare ad essere utile. Tutto questo unito, ben inteso, alla divulgazione dei buoni sentimenti, alla difesa delle cause giuste, alla conservazione dei valori condivisi che rendono un periodico meritevole della gratitudine di chi lo legge. In trentasei articoli sfilano le storie curiose, i racconti eruditi e le emozionanti poesie che prendono vita anche grazie alla magia delle foto d’epoca, le vecchie cascine, gli alunni sui banchi di scuola, i negozi storici scomparsi, i coniugi in abiti nuziali, le affollate corriere d’altri tempi, le regie Poste. Sono lontane vicende di cronaca, ricordi personali, profili di personaggi e vere e proprie favole.
C’è la nostalgia al sapore di acqua e zucchero di Dino Azzalin, c’è il divertito racconto del culto della Madonna pellegrina ai tempi di “faccetta nera” firmato da Stelio Carnevali, c’è la gustosa battuta di pesca narrata da Carlo Zanzi (“L’è ‘n lüsc, l’è ‘n lüsc, l’è ‘na bela bestia!”). E poi il parrucchiere con il negozio in casa di Federica Lucchini, il preludio poetico del professor Silvano Colombo dedicato a Mario Croci (”Sun un vécc, cuntènt da véssal ammò par un zicch…”), l’amarcord strapaesano della Maria raccontato da Alberto Palazzi (”Chel me scusa, scior curaat, ma l’ha capì nagot dul tut”), l’autoironica rassegnazione pensionistica di Gianni Picconi, i ricordi vergiatesi di Roberta Cerini Baj e il commediografo-pittore Guido Bertini, Ul Bertin, ritratto dalla penna magistrale di Mario Chiodetti.
E ancora, pagina dopo pagina, ecco la storia industriale di Verbano Carte a cura di Felice Magnani, la rubrica letteraria di Romano Oldrini, la rievocazione che Giorgio Roncari fa della visita di Mussolini a Laveno nel 1924, la rapina casereccia di quaranta chili d’oro sceneggiata da Luciano Lucchina, l’inchiesta tra memoria e storia sulla colonia elioterapica scritta a quattro mani da Mara Rasi e Alessandro Piatti, il flashback della deamicisiana scuola elementare di Arolo ai primi del ‘900 che ci ricorda per contrasto la scuola di oggi piena di bulli. E tanto altro. Un mini-concerto di Memo Remigi e gli intermezzi musicali di Gianni Crugnola hanno divertito il pubblico in sala e la letterina anti-sprechi a Babbo Natale letta da Betty Colombo ha suscitato qualche polemica del giorno dopo sui social.
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